23- INGRANAGGI MENTALI: LA RELIGIONE

23- INGRANAGGI MENTALI: LA RELIGIONE

«Il primo ostacolo è la religione. Non mi riferisco soltanto alla venerazione di Dio, Allah o Odino, eccetera, ma a ogni dottrina che inebetisce la ragione e il sentimento proiettando il sé fuori dall’esperienza. La religione nasce da un bisogno di risposte alle domande su cosa accade dopo la morte e, di conseguenza, quale è il senso della vita. Alla prima ribatte con fantasie più o meno bizzarre in cui divinità mattacchione si prendono gioco di noi ma noi le amiamo lo stesso perché siamo masochisti. Alla seconda replica concependo regole di condotta la cui osservanza favorisce un miglior soggiorno eterno. Facile comprendere come la definizione delle medesime sia ambita dal Potere quale strumento di controllo sociale. Ovviamente non è il luogo per analizzare come le religioni ottenebrino la ragione e deformino l’emozione…»

«Bravo!». Pottutto e Manganello applaudirono.

«Ma non posso ignorare che anche la religione sia l’antitesi dell’autodeterminazione» decretai. «Il credente, infatti, non opera per se stesso o per gli altri, ma per ingraziarsi la benevolenza dell’entità venerata. Si comporta secondo la sua volontà e la invoca sia affinché interceda negli affari mondani, sia per assicurarsi un posticino temperato per l’eternità…»

«Dovrebbe far ridere?» chiese Pottutto irritato.

«In realtà dovrebbe far piangere!» lo provocai.

 «Il fedele è una persona fragile a cui non basta la vita per trovare risposte. Ha talmente bisogno di rassicurazioni che, potesse, tornerebbe nell’utero materno!»

«Questa invece mi fa impressione!» esclamò Pottutto.

 «All’opposto l’anarchico, diciamo il negatore in generale, trova nell’esperienza la propria ragione. C’è una bellissima frase di Severino de Giovanni a riguardo. Parla del ribelle e fa suppergiù così: vivere in monotonia – si riferisce all’esistenza ordinaria – non è vivere, è solo vegetare e trasportare in forma deambulante una massa di carne e ossa. Alla vita è necessario dare l’elevazione squisita, la ribellione del braccio e della mente1

«Che esagerazione!» gorgogliò Manganello.

«Non le piace?»

«Mi sembra una stupidaggine: il braccio e la mente che si ribellano… cos’è un malato di Parkinson?»

«Non intendeva in quel senso!». Pottutto lo corresse. «Prego, prosegua!» a me.

«Detto che è nella natura umana il bisogno di conforto, sapete perché esso deve essere realizzato da un’entità trascendente

«No!» disse il magistrato.

«Io non so neanche che vuol dire trascendente!» aggiunse il maresciallo.

«La risposta è semplice: pur non ammettendolo per orgoglio e perché è meglio tacere si sa mai portasse male, l’uomo disprezza talmente ciò che è e come vive che si deresponsabilizza delegando la propria sorte all’immaginazione. Chiude gli occhi e se qui è caos, di là è pace; se qui è odio, di là è amore; se qui è niente, di là è tutto. Ma perché il sogno si realizzi occorre che l’artefice sia onnipotente, onnisciente, indefettibile, intellegibile, intangibile… insomma, tutto ciò che l’uomo non è2! Non a caso, infatti, i paradigmi della religione sono sempre stati gli dei che guardano dall’alto, gli uomini che ne subiscono i capricci, il culto per mantenerli tranquilli e sereni. Le religioni monoteiste hanno prodotto un salto di qualità: anziché tante divinità, ce n’è una sola creatrice e imperante. Si è passati dal politeismo, che possiamo immaginare come una moderna famiglia allargata, paternalistica ma tollerante, al patriarcato in cui il padre burbero ordina e i figli obbediscono per evitare gli schiaffoni. Monoteista è il cristianesimo, ma anche l’ebraismo, l’islamismo e compagnia cantante.»

«E l’Induismo?»

«Più che una religione, direi che è un insieme di credenze.»

«Il Buddismo?»

«Forse più una filosofia!»

«E tifare il Napoli? Quella sì che è una religione!» si interpose Manganello.

 «Questo passaggio ha sancito anche il mutamento del rapporto col sacro: se una volta bastava un banalissimo sacrificio per amicarsi quella o quell’altra divinità, per alimentare la concordia ed evitare che gli dei riversassero i loro capricci sulla terra, con il dio unico e assoluto l’uomo ha subordinato la propria volontà alla sua rinunciando a ogni possibilità di determinarsi».

«Ma c’è il libero arbitrio!» obbiettò Pottutto.

«Che giustifica la responsabilità, quindi il senso di colpa e la conseguente sanzione divina!» chiarii. «Infatti Dio ci dice che si è liberi di fare una cosa anziché un’altra. Ma se facciamo l’altra ci punisce. Geniale! Così geniale che tutte le manifestazioni di potere che nei secoli si sono succedute hanno scimmiottato questo principio!» dissi. «La verità è che la religione è il più potente dei costrutti in quanto agisce sulla fragilità umana creando regole, dogmi, imposizioni a cui è impossibile sottrarsi. Si chiama morale. Ogni religione ha la sua. Inderogabile!»

«E cos’altro si aspetta da una religione?»

«Dalla religione niente. Dalle persone, invece, che si guardino intorno e cerchino la propria essenza. Poi sollevino gli occhi e godano dell’essere parte del tutto. Vivere armonicamente con ciò che ci circonda è l’unico scopo della vita. Si è liberi nella consapevolezza di ciò, si è eguali nella sua pratica. Pur essendo una banale verità, invece, l’uomo preferisce obbedire. Con l’effetto che c’è sempre qualcuno che si appropria dell’autorità e ne approfitta per il proprio tornaconto.»

«Dimentica però che credere è un atto di fede

«Non c’è dubbio. Poiché se la logica dimostra tutto e il suo contrario, non rimane che appellarsi all’emotività, la più democratica e distinguibile delle esperienze umane. Dio esiste per chi ha un cuore grande: chi lo ignora è una persona arida e malvagia! E così, zitta zitta, la religione ci rifila la più pervicace delle gerarchie: quella fra buoni e cattivi.»

«Non mi piace questo sarcasmo!» obiettò Pottutto.

«Perché, lei crede in Dio?» gli domandai.

«Certamente!»

«E lei?» chiesi a Manganello.

Il maresciallo aprì con disinvoltura il bottone della divisa e da sotto un quintale di pelo esibì una croce dorata avvolta da una schiera di ciondoli: «Questa è la Madonna di Lourdes, questo è San Bernardo da Aosta protettore degli alpinisti, questo è San Ignazio di Loyola protettore dei militari, poi c’è San Vincenzo Ferrer protettore dei muratori, San Pasquale protettore dei cuochi, San Erasmo che protegge dall’acidità di stomaco, San Dionigi per il mal di testa, oltre a…»

«E quello?»

«Questo? Questo è il cornetto che mi ha regalato la mia nonnina!»

«I suoi amici, invece?» mi sferzò Pottutto. «Sono con o contro Dio?»

«Con o contro… Mica siamo nell’arena a decidere le sorti di un gladiatore!» esclamai. «Posso dire che gli anarchici non la pensano tutti allo stesso modo. Il che può suonare strano, ma in realtà è conforme al nostro pluralismo. C’è chi crede e chi no. L’importante è che nessuno imponga all’altro la propria concezione del mondo. Godwin, ad esempio, il padre dell’anarchia moderna, ma anche Tolstoj e Berneri, criticavano l’ateismo anarchico. Il primo sosteneva che la ragione fonda la religione; lo scrittore russo, invece, che il regno di Dio fosse immanente; l’agnostico Berneri, infine, sottolineava come l’ateismo intransigente rischiasse di diventare un dispotismo totalitario. In senso contrario, la maggior parte degli anarchici è convinta che della religione se ne possa fare a meno in quanto alimenta le gerarchie divine e terrene, mantiene gli esseri umani nella soggezione e nella superstizione, quindi nell’ignoranza e nella subalternità, oltre a fomentare discordie, guerre, confini, muri di incomprensione e discriminazione3».

Poiché ormai mi guardavano con espressioni tipo Giuditta di Klimt4, conclusi: «L’Assoluto è sempre una violenza poiché è il più potente strumento di manipolazione che fa leva sulla debolezza umana mascherata da senso di colpa. Per questo gli anarchici collocano il loro paradiso e la loro felicità sulla terra e vogliono godere pienamente e sanamente della vita, cioè vivere l’esperienza quotidiana con tutta la passione, la forza, l’altruismo, il coraggio, la determinazione, l’amore possibile, come dice Emile Armand. E come dargli torto? Non vedo che senso abbia agognare l’immortalità quando è noto a tutti che le cose belle finiscono sempre!».

 

 

NOTE

– 1 Severino De Giovanni da articolo su Filosofia antiautoritaria del 2.8.22.

– 2 Così parlava Lidwig Feuerbach in L’Essenza del Cristianesimo del 1843.

– 3 Pippo Guerrieri, L’Anarchia spiegata a mia figlia, BSF Edizioni, 2018.

– 4 Gustav Klimt, Giuditta, olio su tela, 1901.

In foto Marc Chagall, Crocifissione Bianca, 1938

Editing a cura di Costanza Ghezzi