DISCORSO ALL’UMANITA’ NE “IL GRANDE DITTATORE” 1940

«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non voglio né governare né comandare nessuno. Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, fatto precipitare il mondo nell’odio, condotti a passo d’oca verso le cose più abiette.

Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchine ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è vuota e violenta e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno avvicinato la gente, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell’uomo, reclama la fratellanza universale. L’unione dell’umanità. Persino ora la mia voce raggiunge milioni di persone.

Milioni di uomini, donne, bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di segregare, umiliare e torturare gente innocente. A coloro che ci odiano io dico: non disperate! Perché l’avidità che ci comanda è soltanto un male passeggero, come la pochezza di uomini che temono le meraviglie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi comandano e che vi disprezzano, che vi limitano, uomini che vi dicono cosa dire, cosa fare, cosa pensare e come vivere! Che vi irregimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie! Voi vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchine con macchine al posto del cervello e del cuore.

Ma voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate. Coloro che odiano sono solo quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati, non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: «Il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo».

Non di un solo uomo, ma nel cuore di tutti gli uomini. Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, il progresso e la felicità. Voi, il popolo, avete la forza di fare si che la vita sia bella e libera.

Voi che potete fare di questa vita una splendida avventura. Soldati, in nome della democrazia, uniamo queste forze. Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a tutti un lavoro, ai giovani la speranza, ai vecchi la serenità ed alle donne la sicurezza. Promettendovi queste cose degli uomini sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. E non ne daranno conto a nessuno. Forse i dittatori sono liberi perché rendono schiavo il popolo.

Combattiamo per mantenere quelle promesse. Per abbattere i confini e le barriere. Combattiamo per eliminare l’avidità e l’odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!»

18- Perché fa paura l’anarchia

N. 18

 

Il pubblico ministero invitò la signorina Servile ad aprire la finestra. «Metta questo a contrasto!». Dalla tasca della giacca tirò fuori un codice di procedura penale.

La segretaria lo appoggiò fra le persiane.

Stavo per riprendere a parlare che dalla strada si levò un urlo straziato. Mi voltai e il codice non c’era più.

«Signorina? Aggiunga al capo d’imputazione le lesioni aggravate!» le ordinò Pottutto.

Non volevo dargli soddisfazione replicando che ce l’aveva messo lui, così: «Perché vi fa tanto paura l’anarchia?» lo sferzai. «L’anarchia non è caos e non è disordine. Non è anomia, né acrazia. E allora perché?»

«Perché?» ripeté Pottutto. Guardò Manganello, poi giochicchiò con la penna prima di squadrarmi: «Scarpe da ginnastica consumate, jeans strappati, maglietta stropicciata… Solo un anarchico può presentarsi in questo modo a un interrogatorio!»

«Ma se mi hanno arrestato mentre giocavo a calcio!»

«Perché, lei non può giocare a calcio come tutte le persone civili con un bel completino di flanella, la camicia chiara e la cravatta in tinta unita?».

Il maresciallo lo tolse dall’imbarazzo: «Lo so io!» disse. «Perché quando ci sono le manifestazioni, siete gli unici che reagite alle nostre legnate!»

«E vi facciamo pure male!» sfoggiai un sorriso amichevole. «Ma non può essere per qualche bernoccolo che ci odiate tanto, no?».

Pottutto sfogliò i fogli del mio blog cercando la risposta.

Manganello si arricciò la ciccia dell’avambraccio.

«Siete dei sovversivi!» disse il primo.

«Ma questo è un complimento!» replicai ironicamente. «Se ci lasciaste vivere come vogliamo, nessuno sovvertirebbe niente. Invece volete che ubbidiamo, che ci adeguiamo al regime, che reprimiamo la nostra volontà per soddisfare la vostra!»

«Perché la nostra è quella giusta?» replicò Manganello.

«Se amate essere servi, servite pure. Ma non pretendete che tutti lo siano!»

«Non è possibile!» intervenne Pottutto. «Lo Stato non può accettare che qualcuno lo sia e altri no. Si creerebbero delle intollerabili discriminazioni. È una questione di eguaglianza. Lei che fa tanto il saputello saprà che l’articolo tre della Costituzione dice che siamo tutti uguali!»

«Ci sono!» esclamò Manganello appoggiando il ventre sul tavolo. «Voi anarchici siete violenti!»

«Violenti noi? Ma se siamo anti-violenti per definizione? Ovviamente se veniamo provocati, rispondiamo. Ma non c’è niente di violento in quello che diciamo e facciamo.»

«È sempre una violenza fare ciò che non si deve fare!» gongolò Pottutto.

«Direi che violenza è costringere a fare ciò che non si vuole fare!» rilevai. «Quindi se obbedissimo senza lamentarci saremmo dei bravi cittadini? Sa che non avevo mai considerato questa prospettiva? Quasi quasi quando esco ne parlo coi ragazzi. Poi torno e vi riferisco. Okay?… Ma non scherziamo! Che il Potere ci dia la possibilità di organizzarci, che non ci imponga le sue leggi, che non ci obblighi al suo sistema economico, che non ci opprima con la sua religione e la sua morale. E allora andremo tutti d’amore e d’accordo!»

«Non faccia l’ingenuo, sa che questo non è possibile!»

«Certo che lo so. Perché lo Stato pretende di essere il dominatore assoluto». Cambiando tono: «Mi dispiace deluderla, ma noi obbediamo solo alla nostra ragione, al nostro istinto, alla nostra volontà

«E allora prendetevi le manganellate!». Manganello si stizzì.

«Lo lasci perdere, maresciallo!». Pottutto lo redarguì. «Quanto a lei» tornò a me, «è la storia a dire che siete violenti!»

«La storia scritta da chi?» gli replicai. «C’è stato solo un periodo, quello della così detta propaganda del fatto fra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale in cui gli anarchici hanno pensato di reagire all’oppressione con azioni dirette contro i simboli del potere. Si trattava però di pochi, isolati idealisti che speravano di risvegliare le masse. Sono tutti morti sul campo o finiti in prigione.»

«Allora gliene dico un’altra: non si capisce cosa volete!» si esaltò il pubblico ministero.

«Ma l’ho già ripetuto un’infinità di volte: vogliamo solo vivere la nostra vita senza che nessuno ci dica cose fare

«Non mi sono spiegato. Lo Stato ha bisogno di certezza, anche quando si parla di nemici. Voi invece siete un casino totale: uno dice una cosa, uno ne dice un’altra… insomma, che palle!»

«L’anarchia è pluralista per definizione. Per questo dovete rassegnarvi a non poterla controllare. Non abbiamo una segreteria di partito che ordina come dobbiamo pensare e cosa dobbiamo fare, non abbiamo un leader, non abbiamo un movimento omogeneo…»

«Però capisce che così…!». Pottutto fece una faccia spazientita. «Almeno un ufficio di pubbliche relazioni, una sede, un capo da arrestare ogni tanto… Ogni volta sembra di ricominciare dall’inizio!»

«Per noi la figura del capo è inammissibile

«Ma per noi sì!»

«Lo vede?»

«Lo vede cosa?»

«Che ho ragione. Per voi è inconcepibile che possiamo agire senza un leader perché siete il prodotto della società del dominio: una società in cui ci sono dominanti e dominati, chi dà gli ordini e chi obbedisce. Siete come quegli europei che raggiunsero le coste del Sud America e quando trovarono gli indigeni che vivevano in una società senza fede, senza legge, senza Re, quindi senza gerarchia, li considerarono incivili. Non vi capacitate di come le persone possano unirsi, organizzarsi, autogestirsi, senza che qualcuno si imponga sugli altri. Siete talmente succubi del principio di autorità che, se non foste servi dello Stato, con la stessa fierezza lo sareste di qualcos’altro. Per questo ridiamo di voi esattamente come facevano gli indigeni quando osservavano gli europei che davano gli ordini e obbedivano1

«Le faccio notare che quella società del dominio, che le piace tanto svilire, ha portato la civilizzazione

«A dire il vero, ha portato parecchio sterminio di massa. La civilizzazione è solo la creazione di nuovi spazi di mercato da sfruttare per aumentare il profitto di chi non si accontenta di quel troppo che già possiede!» replicai a denti stretti. «Penso che la narrazione liberal-capitalista da una parte e comunista dall’altra abbiano paura. Paura della nostra libertà, della nostra determinazione, della nostra capacità di autogestione che minaccia il loro dominio. Per questo ci ostacolano, ci reprimono, ci denigrano. Zinn diceva: finché le lepri non avranno i loro storici, la storia sarà raccontata dai cacciatori2. Ma attenzione, che la storia è in continuo divenire e ciò che oggi sembra certo, domani chissà!».

Per qualche secondo mi fissarono inespressivi.

Poi Manganello ruppe il silenzio: «Adesso che c’entrano le lepri?».

 

 

NOTE

 

1 – Aneddoto raccontato da Pierre Clastres in Anarchia Selvaggia, Eleuthera Edizioni, 2017.

2 – Howard Zinn, 1922-2010, storico, saggista. Citato da Isabelle Attard in Perché sono diventata anarchica, Eleuthera Edizioni, 2021.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi, costanzaghezzi@gmail.com

Immagine: Renè Magritte, L’arte di vivere, 1967

 

17- Non ci sono poteri buoni

N 17  

 

Improvvisamente bussarono alla porta.

Con passo felpato e un vassoio fra le mani, entrò la stessa tracagnotta in uniforme che ci aveva lasciati prima che cominciasse l’interrogatorio.

«Ecco le sue schiacciatine!» disse con entusiasmo da bersagliera. «Dove le appoggio?»

«Le metta qui!». Pottutto liberò lo spazio davanti a sé. Poi la sua espressione da labrador si trasformò in Mefistofele cacciato dal Regno dei Cieli: «Le avevo chieste coi ciccioli!»

«Li avevano finiti!» tremò la poverina.

«Dottore sono buonissime!». Il maresciallo ne stava mangiucchiando una strisciolina. «Glielo dica anche lei!» mi coinvolse.

«Gustosissime!» confermai.

«Una prelibatezza!» grugnì ancora il maresciallo, la cui mano venne colpita dal righello sciabolato da Pottutto mentre ne afferrava un altro pezzo.

Il magistrato addentò e fu come Ego quando assaggia la Ratatouille1.

Con un gesto solerte Manganello sollecitò la tracagnotta a sloggiare.

Il pubblico ministero riaprì gli occhi appagato: «Certo che questo benedetto potere è proprio un’ossessione per voi anarchici!». Pulì fra i denti con l’unghia del mignolo.

«Ossessione? Direi proprio di no!» lo corressi. «Posso?» indicai la bottiglietta d’acqua.

Dalla tasca della giacca ne tirò fuori una vuota: «La prenda là!». Indicò il bagno.

Mi tenni la sete e: «Il potere è maledetto! diceva Bakunin. Esso genera gerarchia, subordinazione, obbedienza, oppressione e tutto ciò che rende il mondo un posto malvagio. In una parola: diseguaglianza. E una società fondata sulla diseguaglianza non sarà mai il luogo in cui gli individui potranno essere felici!»

«Ah, no?»

«Eh, no!» sorrisi. «Senza eguaglianza non c’è libertà. E viceversa. Infatti, sempre il russo diceva: la libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, né è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, più profonda e ampia è la loro libertà, più estesa, più profonda e più ampia diviene la mia libertà

«A me non dispiace se qualcuno mi dice cosa fare!»

«Tipo essere libero di scegliere fra obbedire o obbedire? Servitù volontaria, la chiamava quel giovanotto impertinente di Étienne De La Boétie nel XVI secolo. All’età di diciotto anni scrisse un libretto talmente rivoluzionario che venne pubblicato post-mortem in cui affermava che l’uomo viene educato alla servitù, si adatta alla servitù, accetta la servitù, a tal punto che le persone non conoscono altro che lo stato di servitù e si accontentano e sopportano, aspirando a compiacere il sistema per poter godere e partecipare dei piaceri offerti, godendo e gratificandosi della miseria di coloro che invece non riescono a farlo. Cionondimeno invitava gli uomini a liberarsi dal giogo: decidete di non servire più, e sarete liberi2. Auspicava, infatti, la rivolta individuale per diventare ciò che Stirner, quattro secoli dopo, avrebbe definito essere padroni di se stessi

«Sinceramente io tutti questi servi non li vedo!» obiettò Pottutto. «Lei ne vede, Manganello?»

«Magari!» crocchiò il maresciallo. «Qui non si finisce mai di lavorare!».

Riprese il PM: «Lei confonde la sana coercizione che garantisce la disciplina con la schiavitù». Si volse verso il maresciallo: «Che ne pensa, Manganello?»

«Ineccepibile!»

«Che ho detto?»

«Che se gli anarchici vanno affanculo si sta tutti meglio?».

Pottutto gli strappò dalle mani il foglio sul quale disegnava quello che con molta fantasia poteva essere un cavallo.

«È un cane!» precisò il maresciallo.

«Lei parla di disciplina» dissi. «Quindi di legge. Ma chi fa la legge?»

«Il Parlamento, naturalmente!»

«Fuochino!»

«La forza!» seguì un sorprendente Manganello.

«Bravo maresciallo!». Si meritava i complimenti. «In una società fondata sul dominio, solo e soltanto il più forte detiene il potere. A volte in maniera violenta come nei totalitarismi, altre in maniera subdola e manipolatrice come nelle democrazie. Potere che definisce i comportamenti che la massa deve necessariamente osservare. Si chiama ordine sociale e il suo scopo è consentire al Potere stesso di sopravvivere, crescere, perpetuarsi.»

«E fin qui è una filastrocca già sentita. Se adesso ci facesse magari qualche nome!».

Lo ignorai: «Cosa indica il termine Potere?». Perché non si sforzassero troppo: «Ve lo dico io. Nella società del dominio il più forte è sempre e soltanto il più ricco, colui che domina dalla piramide di lingotti, azioni, monete su cui è seduto, dando ordine ai governi e al vassallaggio di menare gli schiavi perché non smettano di lavorare alla sua edificazione.»

«Quindi?»

«Quindi propongo la lettura di una bella poesia sul Potere» dissi.

«No, la poesia no!» gorgogliò Pottutto.

«Pure sul potere!» seguì Manganello.

«Non è proprio una poesia, ma l’estratto di una canzone…»

«Manganello, vada a prendere il mangianastri!»

«Non serve!» dissi. «Basta il testo… legga pure a voce alta!»

«A voce alta?»

«A voce alta!».

Pottutto prese un respiro profondo e:

 

Certo bisogna farne di strada

da una ginnastica d’obbedienza

fino ad un gesto molto più umano

che ti dia il senso della violenza

Però bisogna farne altrettanta

Per diventare così coglioni

Da non riuscire più a capire

Che non ci sono poteri buoni3

 

Il magistrato tolse fiaccamente gli occhiali e mi fissò implorandomi di parlare per primo.

«Per il momento limitiamoci a constatare che non ci sono poteri buoni!» dissi senza aggiungere altro.

«Tutto qui?»

«Mi conceda un po’ di suspense!»

 

NOTE

1 – Ratatouille, film di animazione della Pixar Animation Studios, 2007.

2 – Etienne de La Boétie, Discorso della servitù volontaria, 1548.

3 – Fabrizio De André, Nella mia ora di libertà, nell’album Storia di un impiegato, 1973.

 

uditing a cura di Costanza Ghezzi, costanzaghezzi@gmail.com

Immagine: Andrè Martin De Barros, Golgota, 2007

16- L’anarchia non è utopia

N 16 

«Questo concetto di comunità proprio non mi va giù!» grugnì il pubblico ministero.

«Ci facciamo portare un Jagermeister?»

«Non ho capito!»

«Per buttare giù!» dissi con leggerezza disincantata per non ferire il suo orgoglio suprematista.

«Questa idea di comunità di cui mi ha parlato dà per scontato una fiducia nel prossimo che… perché?»

«Perché?»

«Già, perché?» mi pressò anche il maresciallo.

«Soprattutto come?»

«In che senso come?»

«Come fate ad avere tutta questa fiducia? Il prossimo è sempre lì, in agguato, pronto a saltare addosso, a rubare il posto, ad approfittare delle debolezze, ad agguantare quello che è tuo». Con un gesto della mano mi invitò ad avvicinarmi: «Le faccio vedere cosa intendo!» mi sussurrò nell’orecchio.

Dalla tasca della giacca prese un pacchetto di patatine. Lo aprì, né mangiucchiò qualcuna, lo pose sul tavolo vicino a Manganello, si volse verso la signorina Servile. Mentre confabulava con lei, il maresciallo allungò furtivamente la mano e ne afferrò una manciata.

«Maresciallo!». Il PM si girò di scatto. Gli ordinò di risputarle. E a me: «Ha visto cosa intendo? Ecco perché la sua idea di fratellanza mi sembra molto ingenua!».

«Gli esperimenti di psicologia sociale di Milgram le fanno un baffo!1» scherzai. «Sa che in una sua poesia Pasolini diceva che l’ingenuità è un’eroica vocazione a non arrendersi mai?2. Era sempre molto estremo nelle sue passioni, come tutti i grandi artisti. Ma aveva ragione. Perché l’ingenuità può essere solo quella dello sprovveduto che crede agli asini che volano perché così gli hanno detto, ma anche quella del fiducioso, che non teme di lottare per ciò in cui confida. Gli anarchici sono così, non si stancano mai di praticare l’ideale che hanno dentro, pur essendo legati alla realtà più che all’illusione… Sa cosa diceva Graeber?».

«Chi, il cantante magrolino che ce l’aveva con la politica?»

«No, quello è Gaber3, E comunque Giorgio Gaber non era solo un cantante… Parlo del filosofo David Graeber. Vada all’articolo del 1.7.23. Se legge dove ho sottolineato…».

Pottutto scorse un paio di volte: «Tutto?»

«Dia a me!». Presi il foglio: «A chi dice che gli anarchici sono dei folli ingenui, Graeber risponde con Kropotkin, per il quale ingenui sono coloro che assegnano a qualcuno il ruolo di magistrato, con poteri di vita o di morte sugli altri esseri umani, nella convinzione che rimarrà sempre giusto e imparziale. E all’ulteriore obiezione che ci saranno sempre al mondo degli stronzi egoisti che si preoccuperanno solo di se stessi, replica che non ci sono dubbi, al mondo ci saranno sempre degli stronzi egoisti, anche in una società senza Stato, ma almeno non saranno al comando di un esercito4». Restituii la pagina. «È più chiaro adesso?». Guardandoli negli occhi capii che niente lo fosse. «Dapprima dice che i veri ingenui non sono gli anarchici, ma coloro che credono nell’infallibilità delle istituzioni pubbliche, senza accorgersi che l’aurea sacrale dei suoi burocrati giustifica le più immonde nefandezze di cui si fanno artefici. Poi afferma che una società antiautoritaria è comunque sempre migliore di quella in cui viviamo, poiché in essa anche il più stronzo…»

«Dopraho, moderi il linguaggio!» s’inalberò il PM.

«Mi perdoni, dottore. L’ha detto lui!»

«Chi, Manganello?»

«Graeber!»

«Quello che canta?»

«Il filosofo!» dissi. «Che sottolinea come in una società antiautoritaria anche il più eccetera eccetera, farebbe meno danni di quanti ne potrebbe fare in quella in cui viviamo.»

«Ha detto tutto questo?».

Dalla tasca della giacca Pottutto tirò fuori una Red Bull. Riempì il bicchiere di plastica piegandolo come si fa per evitare che la birra crei la schiuma, bevve d’un fiato. Appoggiò la lattina sul tavolo. «Prenda pure!» offrì al maresciallo.

«Grazie!» esclamò questi sorpreso.

La afferrò e subito la strizzò stizzosamente. Era vuota.

 

«Premetto che me ne frego delle vostre motivazioni…» disse Pottutto.

«Giusto. L’indifferenza è la cura degli inetti!» osservai.

«Non so cosa c’entrino gli insetti, ma volevo dire che, secondo me, l’anarchia è un’utopia!» esclamò col tono del PM che inchioda l’interrogato innanzi a una prova schiacciante.

«Lo dicono in tanti!» glissai. «A questa critica potrei rispondere in un’infinità di modi diversi» dissi. «Potrei citare uno dei miei autori preferiti, Gaston Piger, per il quale l’anarchia è utopia se messa in mano a donne e uomini con la testa infarcita dalla logica del dominio e della competizione e che, aggiunge, preferiscono la sicurezza delle catene e la deresponsabilizzazione della dipendenza5. Potrei rispondere con Amedeo Bertolo, per il quale l’anarchismo esprime la speranza e la volontà di una trasformazione sociale talmente radicale, talmente in contraddizione con l’ordine esistente, da rendere possibile una fortissima tensione utopica6. Potrei citare Pippo Guerrieri per cui tutta la storia è un tentativo di realizzare un’utopia7, oppure Tolstoj per il quale non possiamo conoscere i particolari del nuovo ordine di vita, dobbiamo crearli noi stessi perché la vita consiste nella ricerca dell’ignoto, nell’opera di armonizzazione delle nostre azioni con la nuova verità8. Mi soffermo su Emile Armand, per il quale l’anarchia è uno straordinario slancio ideale antagonista alla staticità reazionaria. Egli, infatti, dice: la lotta non cesserà mai. E mai, fortunatamente, il regno dell’uniformità si estenderà sulla terra, stagnante, monotono e mortifero. Vi saranno sempre dei protestatari, dei ribelli, dei refrattari, degli isolati. Vi saranno sempre dei marginali, dei fuori legge, dei recalcitranti, dei critici, dei ragionatori, dei negatori. Vi saranno sempre degli esseri che ameranno e odieranno vigorosamente. Vi saranno sempre dei passionali, dei non conformisti, dei perturbatori. Vi saranno sempre degli a-morali, degli a-legali, degli a-sociali. Vi saranno sempre gli antiautoritari9». Sollevai lo sguardo. «Bello, eh?»

«Mi si raggriccia la pelle!» mi canzonò il pubblico ministero. «Ma allora come la mette con la morte delle utopie?».

Confessai che non mi aspettavo una domanda così arguta: «Se per utopie si intendono quei sistemi che regolamentano ogni aspetto della vita quotidiana, l’episteme in generale, come direbbero i cattedrati, credo che non esistano più. La tecnologia ha cancellato l’immaginazione e senza immaginazione… Lei guarda la televisione?»

«Certo che la guardo. Come tutti, suppongo.»

«Lei la guarda?» chiesi a Manganello.

«Sto fisso su Fox Crimes!». E col suo solito sorriso edentulo: «C’è sempre da imparare!»

«Perché, lei non guarda la TI-VI?»

«Mi annoia» dissi.

«Tipico di voi intellettualoidi!»

«Trovo molto più divertente fantasticare.»

«Intellettuale e sognatore… la razza peggiore!»

 

 

NOTE

1 – Esperimento di Stanley Milgram realizzato nel 1961 per dimostrare la subordinazione dei soggetti innanzi all’autorità.

2 – Pierpaolo Pasolini, Il sogno della ragione, poesia contenuta nella raccolta Poesia in forma di rosa, 1964.

3 – Giorgio Gaber, cantautore, musicista, cabarettista, semplicemente un artista, 1939-2003.

4 – David Graeber, Dialoghi sull’anarchia, Eleuthera edizioni, 2019.

5 – Gaston Piger, Signorina anarchia, Ortica Editrice, 2021.

6 – Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, Eleuthera ed., 2017.

7 – Pippo Guerrieri, L’anarchia spiegata a mia figlia, BFS Edizioni, 2010.

8 – Tolstoj citato da Woodcock in L’Anarchia, 1966.

9 – Emile Armand, Vivere l’anarchia, Cassa Anti Repressione edizioni, 1983.

 

editing a cura di Costanza Ghezzi, costanzaghezzi@gmail.com

in foto Blue King di Moustaki