N 16
«Questo concetto di comunità proprio non mi va giù!» grugnì il pubblico ministero.
«Ci facciamo portare un Jagermeister?»
«Non ho capito!»
«Per buttare giù!» dissi con leggerezza disincantata per non ferire il suo orgoglio suprematista.
«Questa idea di comunità di cui mi ha parlato dà per scontato una fiducia nel prossimo che… perché?»
«Perché?»
«Già, perché?» mi pressò anche il maresciallo.
«Soprattutto come?»
«In che senso come?»
«Come fate ad avere tutta questa fiducia? Il prossimo è sempre lì, in agguato, pronto a saltare addosso, a rubare il posto, ad approfittare delle debolezze, ad agguantare quello che è tuo». Con un gesto della mano mi invitò ad avvicinarmi: «Le faccio vedere cosa intendo!» mi sussurrò nell’orecchio.
Dalla tasca della giacca prese un pacchetto di patatine. Lo aprì, né mangiucchiò qualcuna, lo pose sul tavolo vicino a Manganello, si volse verso la signorina Servile. Mentre confabulava con lei, il maresciallo allungò furtivamente la mano e ne afferrò una manciata.
«Maresciallo!». Il PM si girò di scatto. Gli ordinò di risputarle. E a me: «Ha visto cosa intendo? Ecco perché la sua idea di fratellanza mi sembra molto ingenua!».
«Gli esperimenti di psicologia sociale di Milgram le fanno un baffo!1» scherzai. «Sa che in una sua poesia Pasolini diceva che l’ingenuità è un’eroica vocazione a non arrendersi mai?2. Era sempre molto estremo nelle sue passioni, come tutti i grandi artisti. Ma aveva ragione. Perché l’ingenuità può essere solo quella dello sprovveduto che crede agli asini che volano perché così gli hanno detto, ma anche quella del fiducioso, che non teme di lottare per ciò in cui confida. Gli anarchici sono così, non si stancano mai di praticare l’ideale che hanno dentro, pur essendo legati alla realtà più che all’illusione… Sa cosa diceva Graeber?».
«Chi, il cantante magrolino che ce l’aveva con la politica?»
«No, quello è Gaber3, E comunque Giorgio Gaber non era solo un cantante… Parlo del filosofo David Graeber. Vada all’articolo del 1.7.23. Se legge dove ho sottolineato…».
Pottutto scorse un paio di volte: «Tutto?»
«Dia a me!». Presi il foglio: «A chi dice che gli anarchici sono dei folli ingenui, Graeber risponde con Kropotkin, per il quale ingenui sono coloro che assegnano a qualcuno il ruolo di magistrato, con poteri di vita o di morte sugli altri esseri umani, nella convinzione che rimarrà sempre giusto e imparziale. E all’ulteriore obiezione che ci saranno sempre al mondo degli stronzi egoisti che si preoccuperanno solo di se stessi, replica che non ci sono dubbi, al mondo ci saranno sempre degli stronzi egoisti, anche in una società senza Stato, ma almeno non saranno al comando di un esercito4». Restituii la pagina. «È più chiaro adesso?». Guardandoli negli occhi capii che niente lo fosse. «Dapprima dice che i veri ingenui non sono gli anarchici, ma coloro che credono nell’infallibilità delle istituzioni pubbliche, senza accorgersi che l’aurea sacrale dei suoi burocrati giustifica le più immonde nefandezze di cui si fanno artefici. Poi afferma che una società antiautoritaria è comunque sempre migliore di quella in cui viviamo, poiché in essa anche il più stronzo…»
«Dopraho, moderi il linguaggio!» s’inalberò il PM.
«Mi perdoni, dottore. L’ha detto lui!»
«Chi, Manganello?»
«Graeber!»
«Quello che canta?»
«Il filosofo!» dissi. «Che sottolinea come in una società antiautoritaria anche il più eccetera eccetera, farebbe meno danni di quanti ne potrebbe fare in quella in cui viviamo.»
«Ha detto tutto questo?».
Dalla tasca della giacca Pottutto tirò fuori una Red Bull. Riempì il bicchiere di plastica piegandolo come si fa per evitare che la birra crei la schiuma, bevve d’un fiato. Appoggiò la lattina sul tavolo. «Prenda pure!» offrì al maresciallo.
«Grazie!» esclamò questi sorpreso.
La afferrò e subito la strizzò stizzosamente. Era vuota.
«Premetto che me ne frego delle vostre motivazioni…» disse Pottutto.
«Giusto. L’indifferenza è la cura degli inetti!» osservai.
«Non so cosa c’entrino gli insetti, ma volevo dire che, secondo me, l’anarchia è un’utopia!» esclamò col tono del PM che inchioda l’interrogato innanzi a una prova schiacciante.
«Lo dicono in tanti!» glissai. «A questa critica potrei rispondere in un’infinità di modi diversi» dissi. «Potrei citare uno dei miei autori preferiti, Gaston Piger, per il quale l’anarchia è utopia se messa in mano a donne e uomini con la testa infarcita dalla logica del dominio e della competizione e che, aggiunge, preferiscono la sicurezza delle catene e la deresponsabilizzazione della dipendenza5. Potrei rispondere con Amedeo Bertolo, per il quale l’anarchismo esprime la speranza e la volontà di una trasformazione sociale talmente radicale, talmente in contraddizione con l’ordine esistente, da rendere possibile una fortissima tensione utopica6. Potrei citare Pippo Guerrieri per cui tutta la storia è un tentativo di realizzare un’utopia7, oppure Tolstoj per il quale non possiamo conoscere i particolari del nuovo ordine di vita, dobbiamo crearli noi stessi perché la vita consiste nella ricerca dell’ignoto, nell’opera di armonizzazione delle nostre azioni con la nuova verità8. Mi soffermo su Emile Armand, per il quale l’anarchia è uno straordinario slancio ideale antagonista alla staticità reazionaria. Egli, infatti, dice: la lotta non cesserà mai. E mai, fortunatamente, il regno dell’uniformità si estenderà sulla terra, stagnante, monotono e mortifero. Vi saranno sempre dei protestatari, dei ribelli, dei refrattari, degli isolati. Vi saranno sempre dei marginali, dei fuori legge, dei recalcitranti, dei critici, dei ragionatori, dei negatori. Vi saranno sempre degli esseri che ameranno e odieranno vigorosamente. Vi saranno sempre dei passionali, dei non conformisti, dei perturbatori. Vi saranno sempre degli a-morali, degli a-legali, degli a-sociali. Vi saranno sempre gli antiautoritari9». Sollevai lo sguardo. «Bello, eh?»
«Mi si raggriccia la pelle!» mi canzonò il pubblico ministero. «Ma allora come la mette con la morte delle utopie?».
Confessai che non mi aspettavo una domanda così arguta: «Se per utopie si intendono quei sistemi che regolamentano ogni aspetto della vita quotidiana, l’episteme in generale, come direbbero i cattedrati, credo che non esistano più. La tecnologia ha cancellato l’immaginazione e senza immaginazione… Lei guarda la televisione?»
«Certo che la guardo. Come tutti, suppongo.»
«Lei la guarda?» chiesi a Manganello.
«Sto fisso su Fox Crimes!». E col suo solito sorriso edentulo: «C’è sempre da imparare!»
«Perché, lei non guarda la TI-VI?»
«Mi annoia» dissi.
«Tipico di voi intellettualoidi!»
«Trovo molto più divertente fantasticare.»
«Intellettuale e sognatore… la razza peggiore!»
NOTE
1 – Esperimento di Stanley Milgram realizzato nel 1961 per dimostrare la subordinazione dei soggetti innanzi all’autorità.
2 – Pierpaolo Pasolini, Il sogno della ragione, poesia contenuta nella raccolta Poesia in forma di rosa, 1964.
3 – Giorgio Gaber, cantautore, musicista, cabarettista, semplicemente un artista, 1939-2003.
4 – David Graeber, Dialoghi sull’anarchia, Eleuthera edizioni, 2019.
5 – Gaston Piger, Signorina anarchia, Ortica Editrice, 2021.
6 – Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, Eleuthera ed., 2017.
7 – Pippo Guerrieri, L’anarchia spiegata a mia figlia, BFS Edizioni, 2010.
8 – Tolstoj citato da Woodcock in L’Anarchia, 1966.
9 – Emile Armand, Vivere l’anarchia, Cassa Anti Repressione edizioni, 1983.
editing a cura di Costanza Ghezzi, costanzaghezzi@gmail.com
in foto Blue King di Moustaki