L’EGUALE LIBERTA’: LEGGE NATURALE DI RECIPROCITA’
L’EGUALE LIBERTA’ COME ANTIDOTO DI OGNI CONFLITTO
Una società nevrotica difficilmente accetta i cambiamenti, le contraddizioni, le diversità. Il divergente mette in dubbio le sue convinzioni e induce a reazioni ai limiti del persecutorio. Viviamo un’epoca in cui principi giusti come il rispetto e la tolleranza verso il prossimo vengono pervertiti diventando paranoia. Con la conseguenza che qualunque manifestazione non conforme ai dettami preconfezionati si considera sessista, razzista, bullista, ipocritamente divisiva. Ma quando si ostacola il pluralismo attraverso principi che diventano vessatori si ha sempre tirannia. Soprattutto se il conformismo perbenista mira allo sfruttamento di nuovi mercati.
Poiché si definisce condotta offensiva qualunque azione verbale o fisica, almeno al pensiero è lasciato il piacere di concepire le peggiori sordità, che lede l’onore, il prestigio, la dignità di una persona, il rischio è di comprendere uno spettro di condotte che sbilancia gli interessi sempre e troppo a favore della presunta parte lesa. Anche quando l’offesa non c’è. Anche quando la reazione è paranoica. Anche, perché no, quando è stupida.
Se mi rivolgo a qualcuno dandogli dell’imbecille senza motivo, è ovvio che reagisca. Ma se invece si è comportato da imbecille, dovrebbe ringraziarmi perché gli offro la possibilità di correggersi. Faccio un esempio: Tizio invoca il suo dio per aiutarlo a realizzare un dato obiettivo. Caio sente e lo apostrofa scherzosamente che non esiste e se esistesse avrebbe cose migliori da fare. Tizio risponde che è un cafone perché non rispetta la sua fede e lo manda all’inferno. A quel punto Caio replica che l’inferno è sulla terra anche per colpa dei babbei come lui. E poi si sa come va a finire.
Ciò dimostra come le relazioni personali operino su un crinale periglioso, dove basta un niente per cadere nel precipizio. La sensibilità religiosa di Tizio ha infatti turbato quella agnostica di Caio, che con una battuta ne ha dissacrato le convinzioni. Certo, il primo poteva evitare di vagheggiare e il secondo doveva ignorarlo poiché i fanatici non perdono occasione per manifestare il loro integralismo, ma comparare i peccati serve solo a chi vuole omologare le condotte.
Situazioni di questo tipo si presentano frequentemente perché la mente comune è intrisa della logica del dominio in cui necessariamente la prevaricazione deve realizzarsi o essere ostentata. Le persone non sono ciò che sono, ma l’immagine che vogliono altri abbiano di loro o che altri hanno creato e loro condiviso. Ciascuno è una maschera sociale che deve essere riconosciuta e accettata, pena la perdita dell’autostima. E in un contesto competitivo, nessuno vuole smarrirla perché ritrovarla è un bel casino.
Se a questo si aggiunge che la morale sociale, le leggi e tutte le regole imposte hanno innalzato il livello di suscettibilità, magari fosse sensibilità, si spiega come oggi gli individui agiscano determinati esclusivamente dall’emotività isterica dei bravi consumatori e non come uomini coscienti di sé.
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L’omologazione ipocrita e artificiosa dei comportamenti ha portato a una deformazione delle relazioni paragonabile a quella subita dal sistema immunitario a causa dell’ipertrofia terapeutica: una volta la malattia era un evento naturale, spesso doloroso, a volte tragico, ma sempre parte dell’esistenza. La precarietà della vita terrorizzava, eppure la fitoterapia1 più o meno rudimentale era l’unica salvezza e, religione a parte, non esistevano artifici o sofisticazioni dietro cui nascondere l’angoscia della transitorietà. Adesso invece, fra il mito del superuomo in salsa narcisistica, l’ossessione dell’igiene, l’uso salvifico dei farmaci istigato dai media e la fragilità interiore acuita dal sistema che induce a trovare sicurezza in condotte compulsive, senza dimenticare l’influenza dell’industria farmaceutica assunta a rango di oligarchia, sono tutti ipocondriaci che soffrono come marmocchi dopo un graffio.
Allo stesso modo, le relazioni umane non sono più sincere e dirette. La spontaneità è stata sostituita dall’artificiosità. Il detto non è mai pensato e l’azione è sempre interessata. Ciascuno recita una parte. E quando accade che qualcuno non rispetti il copione, ecco il dramma. Nessuno sa improvvisare perché tutti hanno disimparato l’autenticità. Nudi, imbarazzati, scoperti di fronte alle proprie fragilità, gli attori si accusano reciprocamente. Poi il più arrogante offende l’altro e si allontana minacciando di non rimettere più piede sul palco. Nessuno interviene. Nel teatro cala un silenzio tombale. Finché si ode la voce strozzata del regista che grida: «Ma ‘ndo vai?»
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Diverso è il discorso per l’anarchico. Egli concepisce le relazioni non come competizione, ma come sintesi. La sua realtà è costituita da pluralità di entità -animali, vegetali, pure i bipedi!- che si fondono armonicamente attraverso la partecipazione condivisa. Una biosimbiosi che si compie solo dopo aver rifiutato la logica del dominio, affinché le relazioni non siano sottese agli ordinari rapporti di forza, ma tendano reciprocamente all’armonia. Non solo quella umana, ma del biotipo in cui interagiscono.
Quando l’individuo allarga i confini della sua comunità per includervi il suolo, le acque, le piante, gli animali o, collettivamente, la terra stessa in una eticità della terra che esalta il comune diritto di esistere2, non c’è bisogno di artefatti. Ciascuno vive l’esistenza uniformandosi ai ritmi e alle leggi della natura. L’obiettivo è fondersi nell’identità, non predare per interesse. Non si domina, emargina, elimina, sopraffà l’altro in quanto necessario al compimento del sé, che si realizza nella condivisione.
Ecco perché nella comunità antiautoritaria le relazioni sono dirette, sincere, istintive, prive di sofisticazioni tanto con le entità materiali e immateriali, tanto con i propri simili. Si chiama eguale libertà ed è quella legge universale che disciplina armonicamente l’azione di chiunque abiti il mondo. Consiste nel conoscere se stessi, nel manifestare pienamente la volontà di vivere e nel legittimare quella degli altri in una coesistenza che esalta le pluralità senza vincoli imposti.
E se per gli animali e le piante la giustizia è endemica, l’uomo, corrotto sin dalla nascita, deve emanciparsi dalla logica del dominio per imparare con l’esperienza ad essere natura. Divenuto padrone di sé dopo aver razionalmente rifiutato preconcetti, superstizioni e illusioni, si affida all’istinto per intraprendere un processo spirituale e pratico, mentale ed etico, che opera come un’impollinazione, dove il polline, la volontà, mediante gli agenti impollinatori, le relazioni spontanee, crea la gamia, l’identificazione con le entità, e la seguente produzione del seme, l’estasi data dalla partecipazione al tutto. Una fusione edificata sulla reciprocità, in cui eguaglianza e libertà sono complementari poiché l’una non si compie senza l’altra.
Ovviamente chi non vuole evolversi ha pari dignità di esistere, ma la sua vita è un’inutile spreco di energia e un fastidio per coloro a cui offendere e irridere i suoi conformismi non è solo un piacere, ma un dovere.
NOTE
*1- La fitoterapia è l’uso delle piante o degli estratto per curare le malattie e mantenere il benessere psicofisico.
*2- Aldo Leopold, Pensare come una montagna, Piano B edizioni, 1949.
IMMAGINE: August Macke, Giardini Zoologici, 1913