15 – Bene comune dello Stato vs bene comune dell’anarchia

N 15

«Ho detto che l’anarchia ha come fine il bene comune. Ma attenzione, anche lo Stato dichiara di voler realizzare il bene comune. E lo fa avvalendosi dei suoi mestieranti più agguerriti. Quando i vari politici, giornalisti, burocrati, scosciate, scrittori, artisti, prostituiti vari e tutti coloro che altrimenti dovrebbero lavorare evocano il bene pubblico come fine perseguito dallo Stato, mentono sapendo di mentire.»

«Ora non mi faccia la solita morale!»

«È un rischio che si corre sempre quando si disprezza!» replicai. «L’esempio è il legalismo imperante: fatua adorazione del sacro paganizzato! Peccato che lo Stato di divino abbia ben poco, visto che con la legge fa il proprio interesse, realizza il proprio profitto, legittima il proprio bene. E non mi riferisco solo allo Stato dei gentiluomini che lo governano, dei burocrati che ne consentono la conservazione o delle canaglie che se ne servono, ma a quello proprio dell’ordinamento stesso che si concretizza nell’assolutezza morale e materiale indispensabile alla perpetuazione di se stesso.»

«Molto qualunquista!»

«Il potere è reazionario per definizione. Lo dimostra il fatto che tanti di quei dei diritti civili che attribuiamo alla politica illuminata sono stati conquistati attraverso una massiccia contestazione extra-istituzionale sotto forma di sommosse, attacchi alla proprietà, dimostrazioni violente, espropri, incendi, sfide aperte, minaccia ai poteri costituiti1. Quando la politica legifera simulando un qualche interesse verso il popolo è solo per circoscrivere il malessere sociale che pregiudicherebbe la sua stabilità, oppure per riattizzare il capitalismo, che altrimenti stagnerebbe o regredirebbe. Sempre la stessa storia: captato il disagio, la politica lo argina aumentando o definendo nuove forme di controllo sociale!». Feci una pausa per ripartire con slancio: «Ditemi una cosa che lo Stato fa per i cittadini di sua iniziativa?».

Mentre il PM si lisciava la barba, «Le strade!» esclamò il maresciallo.

«Ma se l’altro giorno è venuto a prendermi perché un cratere mi aveva sfasciato la ruota dell’auto!» lo riprese Pottutto.

«Allora la sanità!»

«Lasci perdere!». Stavolta Pottutto si strappò un ciuffo dalla basetta: «Piscio saette da tre settimane e quei bastardi mi hanno fissato l’urologo fra nove mesi!»

«Ha provato con gli ortaggi? Sono pieni di vitamine… E se dico la scuola?». Di nuovo il maresciallo.

«Sulla scuola, potrei anche darle ragione» dissi. «Come luogo di addestramento all’obbedienza è assai efficiente!»

«Faccia poco lo spiritoso!» mi redarguì Pottutto.

«Esatto. Faccia poco lo spiritoso!» ripeté Manganello.

«Non mi avete ancora risposto!» sogghignai.

Ci pensarono.

«La giustizia!». Pottutto si accese.

«Se i magistrati fossero tutti come lei!» ironizzai.

Mi dette ragione.

«Ci sono: il Papa!». Di nuovo Manganello.

«Sta in un altro Stato!» lo corresse Pottutto.

«Come dottore, hanno spostato Roma?»

«Manganello, mi faccia una cortesia: si limiti a prendere appunti!».

E a me: «Adesso basta!» ruggì. «Se volevo rispondere alle domande a trabocchetto andavo al Quiz Show!»

«Ha ragione» dissi. «L’importante è che sia chiaro che il bene pubblico di cui tutti si riempiono la bocca fa solo l’interesse di chi sta lassù…». Puntai il dito verso l’alto.

«Persecuzio?» chiese il pubblico ministero allarmato.

«Che c’entra il procurato capo?»

«È nell’ufficio proprio sopra di noi!»

«Il bene comune di cui parla l’anarchia, invece, tiene conto delle personalità, degli interessi, delle aspirazioni reali di ogni individuo. Sorge dal basso e si sviluppa con la condivisione, l’unione delle singole aspirazioni per uno scopo condiviso: la comunità di egoisti, o più semplicemente comune, gruppo, clan, associazione, agglomerato, soviet addirittura. Qualunque struttura organizzata in maniera autonoma, antigerarchica e autogestita2, dove le persone si uniscono per condividere un obiettivo. Ed è con questa comunità partecipata che l’anarchia realizza la sua etica».

Potutto emise una smorfia poco convinta. «Qualcosa non quadra». Inforcò gli occhiali e lesse gli appunti: «Parla prima di individualità, poi di comunità. Ma se io sto bene per conto mio perché devo condividere con gli altri?»

«Ciascuno è libero di fare quello che vuole e nessuno può e deve ostacolarlo. Se a lei piace vivere un’esistenza ascetica è una sua scelta. Posso non condividerla perché credo che l’isolamento sia pur sempre una condizione transitoria, se non estintiva. Anche quando è una fuga necessaria, arriva il momento in cui l’individuo deve relazionarsi e allora la questione si porrà nuovamente e forse in maniera più esasperata perché avrà perso l’abitudine alla convivialità. Ciò detto, se lo spirito comunitario fosse imposto dall’alto sarebbe l’ennesimo dispotismo. Le faccio l’esempio del Kibbuz, quel modello di società cooperativa ebraica i cui membri si impegnavano a realizzare pratiche anarchiche come limitare l’autorità, abolire le gerarchie, favorire la partecipazione diretta. La regola era che i bambini venissero sottratti alle famiglie biologiche fin da piccoli affinché la comunità provvedesse alla loro educazione. In questo modo crescevano come essa voleva, acquisendone i principi e i valori. Principi e valori che, a prescindere dalla loro giustezza, erano pur sempre imposti dal gruppo sociale, pertanto non scelti. Pur partendo da premesse libertarie quindi, i suoi seguaci utilizzavano un metodo che non aveva niente a che vedere con la naturalità e la spontaneità. E senza naturalità e spontaneità, cioè senza una scelta libera, dove per libera intendo che porti a una personalità cosciente, non si realizza l’etica anarchica. Per questo l’anarchia non impone modelli. Al massimo spiega e consiglia affinché ciascuno scelga consapevolmente la propria via. Come diceva Ghandi: “la morale non sta nel seguire una strada già battuta, ma nel scegliere la propria e percorrerla senza paura”».

«Dopo Ghandi manca Einstein e poi li ha citati tutti!». Pottutto sghignazzò soddisfatto per la battuta. Poi cambiò intensità: «Le ricordo che ancora non mi ha dato un nome!»

«Non si agiti, abbiamo appena cominciato!».

 

NOTE:

 

1 – James Scott, Elogio dell’anarchismo, Elèuthera edizioni, 2014.

 

2 – Colin Ward, Anarchia un approccio essenziale, Elèuthera edizioni, 2014.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi– www.costanzaghezzi.com

Immagine: Giacomo Balla, Motocicletta, 1913.