43 – COMUNITÀ: CLANDESTINA

43 – COMUNITÀ: CLANDESTINA

 

«Giuro che non mi sentivo così da quando al liceo avevo matematica alle ultime due ore del venerdì… Mi faccia qualche nome, per favore!»

«No!»

«Neanche se spuntassi alcuni reati dal capo di imputazione?»

«No!»

«Le posso togliere l’invasione di terreni e edifici pubblici, il vilipendio alla bandiera, il furto di cadaveri…»

«Il furto di cadaveri?»

«Preferisce l’evasione fiscale!»

«Evasione fiscale?»

«Anche quella è nel capo d’imputazione.»

«Ma dottore, come pretende che paghi le tasse a uno Stato che non riconosco?»

«Non mi sembra una grande tesi difensiva!»

«Allora niente nomi!»

«Le concedo le attenuanti generiche. Okay?» rilanciò.

«Non sono a caccia di clemenza!» dissi. «Facciamo così: finisco, poi decido.»

«Che aspetta?»

«Ho detto che il Potere si fonda sulla proprietà e usa la legge e le istituzioni per mantenere e accrescere i propri privilegi. La comunità anarchica, sostituita la prima con la comproprietà e rifiutato il profitto, crea proprie regole e propri organismi di autogestione per impedire ogni ingerenza esterna e il ripristinarsi di forme di autorità. Ma perché possa autogovernarsi nella società del dominio senza rischiare la repressione o l’isolamento deve operare in clandestinità attraverso un reticolo di entità che si sviluppino e crescano sfruttando il sistema come le piante rampicanti fanno col sostegno. Dopo tutto, se esso ci usa, usarlo si chiama reciprocità!». E cambiando tono: «Avete mai sentito parlare del Madagascar?»

«Mio figlio Dilanio lo guarda in continuazione!6». Manganello si infiammò.

«Non il cartone animato!»

«Maresciallo, perché non fa un altro disegnetto?» anche Pottutto lo richiamò.

«Ne parla il filosofo Graeber in un libro in cui racconta l’esperienza vissuta in quel paese. Dice che dopo le rivoluzioni di metà anni Settanta, lo Stato non era più presente nelle campagne, le comunità rurali si autogovernavano, nessuno pagava le tasse e la polizia era assente. La gente era ben consapevole che bisognava evitare di attirare l’attenzione su quella situazione di fatto… la cosa più stupida da fare sarebbe stata quella di sventolare una qualsiasi bandiera proclamando: adesso siamo indipendenti. Se le cose fossero andate così, quelli con le pistole alla fine sarebbero arrivati per ristabilire l’autorità statale. E invece la popolazione rurale di quella parte del Madagascar, avendo un buon senso straordinario, ha capito che se si faceva finta che lo Stato esisteva, si poteva ignorarlo quasi del tutto. Di tanto in tanto andavano in città a compilare qualche modulo e, i funzionari, chiusi nei loro uffici, avevano ben chiaro che sarebbero stati trattati con rispetto fintanto che fossero rimasti nei loro uffici. Ma se avessero provato davvero a esercitare una qualche autorità, si sarebbero trovati ad affrontare ogni sorta di resistenza passiva. E in generale preferivano stare al gioco7».

Restituii il foglio.

«La comunità è quindi clandestina quando si organizza in maniera autosufficiente dissimulandosi fra le maglie del dominio» dissi.

«Ma qui siamo in Italia. È impossibile che…?» bofonchiò il PM.

Non lo feci neanche finire: «Mi dia retta!». Appoggiai confidenzialmente la mia mano sulla sua per fargli intendere che non si trattava di possibilità.

«Non ci credo!»

«Si fidi!»

«E dove?» domandò Manganello appoggiando la sua sulla mia.

Ruppi il castello di mani perché era sudaticcia.

«Potrei dire con parole non mie che la resistenza si realizza in ogni fabbrica, in ogni strada, in ogni cittadina, in ogni scuola, ovunque sia possibile sostituirsi alle istituzioni dell’autorità, in maniera da spezzare ogni forma di dipendenza economica e allo stesso tempo di assoggettamento politico8. Soluzioni e metodi sono già stati rivelati dai pensatori che ci hanno preceduto. È sufficiente far tesoro e applicare i loro consigli!»

«Che sarebbero?»

«Che sarebbero?» ripetei. «Ad esempio non mettere il parmigiano sugli spaghetti allo scoglio!». Improvvisai la prima assurdità che mi venne in mente. «Studiate. È un ottimo esercizio spirituale. E meditando meditando, magari troverete la risposta!».

Il pubblico ministero mi fissò interlocutorio senza controbattere.

«Siamo al punto di non ritorno e non è più consentito sbagliare» dissi. «Dobbiamo ascoltare la ragione, come diceva Godwin.»

«Ascoltare la ragione… Tipo una vocina che le parla?». Pottutto mi interrogò grattandosi la barba.

Esagerai: «Che parla a tutti gli uomini di buona volontà!»

«E le dice di fare il sovversivo?». Batté furente le mani sul tavolo. «Non mi aspettavo da lei questi mezzucci!» gridò. «Vuole fingersi pazzo per non andare in prigione?».

Lo calmai con un sorriso benevolo: «La ragione non è una vocina. Tolstoj la chiama attitudine alla rivoluzione morale e non violenta ed è ciò che guida gli spiriti liberi ad organizzarsi in strutture affrancate dal dominio. Realtà sommerse che con esso non hanno niente a che vedere e di cui esso ne ignora l’esistenza. Una dimensione reale ma, al tempo stesso, occulta e inavvertibile, inafferrabile, impercettibile.»

«Clandestina!»

«Che ignora ed è ignorata dalle regole, i dogmatisti, le fascinazioni della società all’interno della quale si sviluppa… Bravo maresciallo!»

«Grazie!»

«Non c’è di che!» dissi.

«Non si tratta semplicemente di lottare contro il potere costituito abbandonando l’ambiente o vivendo sotto falso nome e false sembianze9. Non abbiamo, infatti, alcuna intenzione di imboscarci o di circolare per strada con parrucche e barbe finte. Vivere in clandestinità significa organizzare un’esistenza underground che ora c’è, domani chissà. Che è qui e lì, che è libera, concreta, efficiente, in cui il fai quel che vorrai dei telemiti di Rebelais si sposa col noi siamo il Parlamento dei londinesi di Morris10, senza però che nessuno se ne accorga.»

«Come i massoni? Santa paletta, poteva dirlo subito!». Pottutto gorgogliò e con veemenza strappò il capo di imputazione.

«Come glielo devo dire che non siamo massoni!» precisai.

Ci rimase male: «Lo ristampi subito!» ordinò a Manganello.

«Diversamente dalle società segrete come la Carboneria, i Cavalieri della Libertà, la Giovine Italia, la P2 e tante altre, la comunità anarchica non ordisce una cospirazione contro il governo… Ci accontentiamo di autogovernarci!» dissi ironicamente. «Ma affinché la comunità sia un’associazione volontariamente consentita e accettata da tutti, al fine di risparmiarsi mutualmente ogni sorta di sofferenza evitabile11, non basta che operi in clandestinità, deve farlo in maniera efficace, risolvendo i problemi della vita quotidiana in maniera autonoma, antigerarchica e autogestita. Per questo Ward individua quattro principi che stanno alla base della teoria anarchica dell’organizzazione: la volontarietà, la funzionalità, la temporaneità e le dimensioni12. A cui aggiungo l’autogestione, l’assemblearismo, il federalismo. Senza dimenticare…». Puntai il dito verso Manganello.

«La clandestinità?» terminò la frase.

«Grande maresciallo!» giubilai. «Visto che se s’impegna, anche lei…!». Strinsi teatralmente i pugni in segno di vittoria.

 

NOTE

 

– 6 Madagascar, Film di animazione della Dreamworks del 2005.

– 7 David Graeber, Dialoghi sull’anarchia, ivi.

– 8 Colin Ward, L’anarchia, un approccio essenziale, ivi.

– 9 Comitato invisibile, L’insurrezione che viene – Organizzazione, ivi.

– 10 I telemiti sono gli abitanti dell’Abbazia di Thélème, da Francois Rebelais, I giardini di Thélème, 1534. I londinesi dei XXI secolo, invece, sono i protagonisti di W. Morris, Notizie da nessun luogo, 1890.

– 11 Emile Armand, Iniziazione individualista anarchica, ivi.

– 12 Colin Ward, L’anarchia un approccio essenziale, ivi.

Editing a cura di Costanza Ghezzi

Immagine: Frida, Il cervo ferito, 1946