N 13 – Riappropriarsi dell’umanesimo

«Okay, lo ammetto. Un po’ ridacchiavo!». E soprattutto non smettevo di farlo. Perché dopo aver immaginato il magistrato citare Proudhon, ho visto il procuratore capo…»

«Ma chi, il dottor Persecuzio?». Pottutto pigolò terrorizzato.

«Dov’è?». Manganello scattò in piedi e guardandosi intorno: «Quando l’ha visto?»

«Non l’ho visto. L’ho immaginato!»

«Perché?». Il PM in apnea. «Manganello, Dopraho sta impazzendo!»

«Non sono pazzo!»

«Infatti ho detto sta. Conosce l’italiano? Sta impazzendo: voce del verbo stare impazzendo!»

«Se non vi calmate, me ne vado!» gridai.

Fu sufficiente perché l’uno ritrovasse il suo equilibrio psicofisico manipolando la pallina di pongo e l’altro ricominciasse a disegnare sul foglio.

«E che faceva?»

«Persecuzio? Ma niente… la rimbrottava da dietro la scrivania, poi cominciava a rimpicciolirsi e rimpicciolirsi e rimpicciolirsi fino a diventare una specie di lillipuziano che lei schiacciava con la punta della scarpa. Al che lei si voltava, stringeva la mano a Serge Latouche e Michael Foucault, entrambi vestiti da paggetti, e se ne andava.»

«Allora mi prende in giro?» sbuffò il magistrato.

«Assolutamente!»

«Manganello, secondo lei mi sta prendendo in giro?».

Il commissario si arrotolò dietro l’orecchio un lembo di doppio mento: «Non saprei» disse. «Però l’agente scelto Sevizia lo farei venire lo stesso!»

«E cosa c’entra Persecuzio coi suoi amici Latorre e… Focollo?»

«Latouche e Foucault» lo corressi. «Ma niente… gliel’ho detto, la mente va per associazioni, connessioni, molto per i fatti suoi… Sa che Latouche è uno dei maggiori filosofi della decrescita?». Provai a cambiare discorso.

«Decrescita?… come Messi?1»

«Non proprio!» dissi scoraggiato. «La decrescita più che un difetto ormonale è un’economia che si limita a soddisfare i reali bisogni delle persone. E dell’anarchia dice che il suo obiettivo consiste nel condizionare le decisioni pubbliche, non nel prendere il potere. Fa l’esempio zapatista, un movimento politico e non elettivo…2 E Foucault, invece…». Mi fermai perché, sempre per quel discorso di associazioni, connessioni e così via, per un attimo desiderai esporre ai miei interlocutori la relazione fra le sue governamentalità miste e le teorie post-anarchiche di Todd May, Lewis Call, Saul Newman e tanti altri. Solo per un attimo. Quello dopo realizzai che non le avrebbero comprese neanche se avessi presentato delle mappe concettuali.

«Che è successo?» domandò il PM sorpreso dal mio improvviso incupimento.

Come se fossi stato catapultato davanti al Benefattore dello Stato Unico di Zamjatin3 e avessi dovuto spiegargli chi sono gli umani: «Vi ho detto che non condivido l’approccio collaborazionista del post-anarchismo?»

«No, eh? Sapesse noi!»

«Lo conosce?»

«Assolutamente. Ma già dal nome…!»

«Per farla breve: i pensatori post-anarchici sostengono che la società sia un reticolo di modelli che induce all’acquiescenza. L’unica possibilità di reagire al dominio è che l’azione del singolo crei una breccia di libertà che poi diventi principio condiviso che cambia il mondo.»

«E questa cosa non le piace?»

«Non è che non mi piace, trovo che insistere sulla suggestione dell’azione individuale che demolisce i muri sia alquanto retorica. I muri saltano in aria o si abbattono a picconate o franano da soli o, più sagacemente, si aggirano. Riconosco al post-anarchismo il merito di aver invalidato e abbandonato ogni fideismo nella legge morale per concentrarsi sul reale, cioè su condotte non dogmatiche ma funzionali a un determinato contesto: quello che Onfray chiama nominalismo4. Riconosco altresì che concetti come l’anarchia della quotidianità di Paul Goodman, gli atti di quotidiana resistenza di Scott, le rivoluzioni silenziose di Colin Ward offrono spunti interessanti alla coscienza e alla crescita del movimento anarchico. Dubito però, anzi sono certo, che la soluzione contro il dominio consista nello sviluppare monadi isolate prive di animus rivoluzionario.»

«Si appunti la parola monadi. Deve essere un termine in codice!» bisbigliò Pottutto a Manganello.

«Le monadi sono…». Lasciai perdere. «Quando leggo autori post anarchici, ho come la sensazione che abbiano interiorizzato l’irreversibilità. Il che, peraltro, è più che possibile dal momento che il capitalismo ha cristallizzato la cultura. Sperare che l’azione individuale cambi la realtà è illusorio quanto l’attesa del Gran Giorno. Senza considerare che la condotta isolata, anche quando parte da propositi meritori, spesso viene ingabbiata nel solipsismo, nella misantropia, nell’alienazione.»

«Non mi piacciono tutte queste parole straniere!» bisbigliò Manganello al PM.

«Gliel’ho detto maresciallo: sta parlando in codice per metterci alla prova.»

«Dice?»

«Dico, dico. Sorrida come se capisse!». Poi mi invitò a concludere.

«Concludendo, l’azione individuale è il punto di partenza, ma occorre superare il settarismo, riappropriarsi dell’umanesimo berneriano attraverso cui trasformare la consapevolezza di sé in condivisione sostanziale. Credo sia indispensabile tornare a parlare di umanità!».

Pottutto fece un’espressione da esticazzi!

Manganello scoppiò una risata tutta sputacchi e carne danzante.

«Forse è meglio se approfondisco l’argomento!»

«Anche no. Grazie!».

 

NOTE

1 – Lionel Messi, campione argentino da bambino affetto dalla Sindrome di Asperger, una malattia   ormonale che blocca la crescita.

2 – Serge Latouche, Stato e rivoluzione, in Aavv, L’anarchismo oggi un pensiero necessario, 2014.

3 – E. I. Zamjatin, Noi, Fanucci editore, 1921.

4 – Michel Onfray, Il post-anarchismo spiegato a mia nonna, edizioni Elèuthera, 2011.

Editing a cura di COstanza Ghezzi

Immagine: la Primavera di Botticelli 1480