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N.20 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE LIBERTARIA

«Anche Ward affermava che lo scopo della scuola è svolgere una “funzione socializzante”, cioè conformare l’individuo alla società per garantire la sua perpetuazione. Nell’articolo del 1.8.23 asserisce: la società assicura il suo futuro educando i bambini secondo il suo modello. Nelle società tradizionali il contadino alleva i figli insegnando loro a coltivare la terra, un capo insegna loro a esercitare il potere, i sacerdoti tramandano le mansioni del loro ruolo. Nello stato moderno il sistema scolastico è lo strumento di più ampia portata per condizionare la gente. Dall’età di cinque anni, tenta di plasmare lo sviluppo intellettuale e buona parte della maturazione sociale, fisica, ideologica di un individuo durante dodici anni o anche più del periodo cruciale dal punto di vista formativo6».

Sollevo la testa: «Fin qui ci siamo?».

Solita fuga di sguardi.

«A questo sistema si oppone la pedagogia radicale, cioè libertaria, il cui obiettivo è la realizzazione della personalità dell’individuo e lo sviluppo dei suoi interessi, delle sue aspirazioni, dei suoi bisogni, dei suoi propositi. Abbandonando il sistema educativo autoritario, impositivo, trasmissivo, passivo e certificatorio, si focalizza sul discente. Sperimenta una serie di metodi mediante i quali aiutarlo a diventare cosciente di sé, quindi capace di autodeterminarsi. Metodi fondati sull’esperienza, sull’esplorazione, sul sovvertimento del rapporto gerarchico docente-allievo, sul rigetto della conformistica psicologia del risultato perpetuante l’ordine esistente.»

«Ci mancava Freud!» Pottutto si animò.

«Per psicologia del risultato intendo il voto.»

«Che c’incastrano le elezioni!» il solito Manganello.

«Forse si riferisce a quello religioso!» lo corresse Pottutto.

Pensai a quanto fosse divertente avere un uditorio di quel livello.

«A proposito di educazione libertaria anche Isabelle Attard dice che per vivere in una società senza Dio né padroni l’educazione è prioritaria. Ma non si tratta di modellare il cervello dei futuri militanti anarchici come nelle scuole di indottrinamento politico o militare. Esattamente il contrario: l’obiettivo è di sviluppare nei futuri cittadini l’autonomia, lo spirito critico e la capacità di mettere in discussione. L’educazione libertaria, quindi, non mira a formare esseri docili e uniformi che non mettano mai in discussione né l’esistenza dello Stato-nazione e delle sue istituzioni, né il modello economico vigente7, ma individui liberi che sappiano criticarlo. Una capacità critica che è strumento di emancipazione contro ogni omologazione uniformante e conformista, senza la quale è appiattimento totale, assoluto annichilimento. Le proposte anarchiche sono una continua ricerca della soluzione alla necessità stirneriana di diventare padroni di se stessi, con l’obiettivo di realizzare uno stile di vita alternativo, contraddistinto da un’etica che richiama ciascun individuo alla coerenza tra il pensiero e la propria esistenza concreta8».

«Che c’è?». Pottutto si rivolse a Manganello.

«Scuola si scrive con la C o con la Q? Mi confondo sempre!»

«Lei come l’ha scritto?»

«Con la S maiuscola poi il punto».

«Andiamo avanti!». Il PM si rivolse a me.

 

«I paradigmi della scuola libertaria sono la sperimentazione, la spontaneità, l’autodeterminazione e il pluralismo. Sperimentare significa educare attraverso un approccio esperienziale: la consapevolezza di sé, quindi delle attitudini e delle abilità personali, cosi come dei difetti e delle lacune, si forma passo dopo passo, attraverso una crescita che solo l’approccio diretto col caso concreto consente di sviluppare. L’impegno degli insegnanti deve focalizzarsi sul ragazzo lasciandolo libero di apprendere, sbagliare, correggersi. Nessuna imposizione di nozioni astratte, ma un confronto continuo con la vita, perché, come diceva Emile Armand riferendosi all’individualista anarchico, il concetto si estende a chiunque si affranca dal dominio, l’uomo libero tende verso la vera vita la vita puramente e semplicemente che egli si sente attratto, la vita in libertà che contrasta così violentemente con l’esistenza che gli hanno imposto le condizioni economiche, la politica e tante altre cause. È la vita che lo interessa, che lo sollecita, che lo trascina; la vita naturale che ignora i compromessi, i mercanteggiamenti, le sofisticazioni, gli orpelli le parvenze ingannatrici le false riputazioni, il calcolo, l’arrivismo. Perché egli vuole vivere a qualunque prezzo, costi quel che costi, ben inteso senza dominare né sfruttare altrui.

Per questo la sua vita sarà un campo di esperienze e un continuo ammaestramento, di cui tenderà sempre di rimanere il padrone… giammai a consentire che esse lo padroneggino9. In sintesi, l’uomo vuole vivere, e per vivere pienamente e intensamente deve essere libero dalle costrizioni mentali e fisiche». Pausa. «Se proprio dobbiamo insegnargli qualcosa, insegniamogli a godere l’estasi dell’esperienza: la bellezza del qui e ora. È sfiorando puramente l’essenza dell’attimo che l’uomo è. Al contrario, l’imposizione impedisce l’armonica compenetrazione nel tutto a cui si appartiene». Sorpreso io stesso da tanta saggezza: «Che ve ne pare?»

«Sono tutto un fremito!» Pottutto rispose caustico.

Il maresciallo, invece, si mordicchiava il sottomento.

«Trovate le sue parole nell’articolo citato prima, dove peraltro accenno ai metodi di apprendimento spontaneo sperimentati da Ferrer con la Escuela Moderna, da Homer Lane con la scuola di Little Commonwealth e da Alexander Neill con quella di Summerhill

«L’ho sempre detto che gli inglesi sono strani!»

«Non si preoccupi maresciallo, ci sono anche gli italiani. Ad esempio Marcello Bernardi e Marco Lodi. Il primo è tra i massimi esponenti della scuola negativa che riprende le teorie di Freire, Tolstoj, Ferrer e, perché no, anche Don Milani, per i quali l’educatore deve lasciare libero il giovane di apprendere spontaneamente, senza essere condizionato dalla figura dell’insegnante o dell’ambiente in cui è inserito. Massima importanza viene dato al contatto diretto con le cose, alla manualità, all’immaginazione, alla creatività quali propellenti per sviluppare la curiosità, l’interesse, la ricerca, quindi l’apprendimento.»

«Niente di nuovo sotto il sole» gorgogliò Pottutto.  «Anch’io giocavo col Lego!»

«Evidentemente non abbastanza!» dissi fra i denti. «Alla scuola negativa si affianca quella positiva, dove l’educatore fa da guida e fondamentale diventa il contesto di riferimento attraverso il quale il giovane apprende per imitazione. Un esempio è la Scuola di Vho creata da Marco Lodi dove si educava senza testo, stimolando la comunicatività attraverso le arti espressive come la pittura o la danza…»

«Invece delle lezioni gli studenti ballavano?»

«Valzer, Mazurca, Cha Cha Cha!» scherzai. «Fra le tante cose, ha sviluppato anche la ricerca interdisciplinare e la scrittura collettiva: famosi sono stati negli anni Sessanta alcuni racconti scritti insieme ai suoi studenti come Cipì, una pietra miliare della letteratura infantile, La Mongolfiera e tanti altri. Li ha letti?»

«Eh, come no!»

«A prescindere dal metodo, i pedagoghi libertari ritengono fondamentale che i ragazzi imparino spontaneamente, senza che intermediari impongano tabelle, nozioni, autorità e, soprattutto, senza manipolazione. Usano spesso il gioco, perché il divertimento favorisce la ricerca, l’interesse, l’immaginazione, la creatività, tutte attività necessarie per l’apprendimento e la crescita personale. Soltanto l’esperienza diretta forgia la consapevolezza di sé e consente di appropriarsi del mondo

«Abbiamo finito con la scuola?». Pottutto approfittò della mia pausa.

«No!»

«No?»

«Quasi, però!» dissi. «Condizione necessaria affinché lo studente impari ad autodeterminarsi è che la sua maturazione avvenga in un contesto pluralista. L’educazione deve pungolare l’individuo a fare da sé. Deve imparare a gestirsi, deve superare gli ostacoli, deve darsi degli obiettivi. Deve autodeterminarsi ricorrendo alle proprie capacità, affrontando caso per caso, moltiplicando il confronto costante con i propri simili. Un confronto fatto di differenze, discussioni animate, errori, tentativi e apprendimento. Un confronto pluralista. Per l’anarchia le differenze non sono mai pregiudizievoli. Senza di esse non c’è sviluppo. Come dice Amedeo Bertolo, il potere, per sua natura, nega tutto ciò che gli si oppone e la diversità gli si oppone in quanto ingovernabile. Per questo il potere deve distruggere le diversità o, quanto meno, incanalarla nella diseguaglianza. Al contrario, l’anarchia si nutre e cresce grazie alla diversità. Il confronto, che non è competizione, aiuta a maturare la propria identità e prenderne coscienza. Perché soltanto quando si riconosce la propria e l’altrui specificità è possibile coesistere. La diversità deve essere non solo accettata, ma esaltata, ricercata, creata, ricreata continuamente. Perché la diversità è il bisogno dell’uomo di dare valore a se stesso. Diverso è bello, dice ancora Bertolo, che conclude sottolineando come l’unione dei diversi non sia fratellanza, che definisce un concetto specularmente simile all’utopia gerarchica di una conciliazione coattiva10, ma solidarietà, quel sentimento ancestrale che ci rende uomini e non isolate unità biologiche. In tal senso la pedagogia libertaria è assolutamente originale, in quanto nega qualunque forma di omologazione. Nessun voto, nessuna gerarchia, nessuna autorità, nessuna imposizione. Non ci sono differenze di merito, non ci sono vantaggi, nessuno è privilegiato. E poi accadrà quel che deve accadere!».

Pottutto tirò un sospiro di sollievo: «Adesso abbiamo finito?»

«Aggiungo solo che aveva ragione José Antonio Emmanuel quando diceva che se non vi liberate attraverso la scuola, vi costerà fatica redimervi e liberarvi quando sarete grandi11. Altrettanto vero è che per conseguire la coscienza di sé e la conseguente capacità di autodeterminazione è necessario un ulteriore scatto». Feci una pausa. «Che ne dite se parliamo di libertà?».

 

NOTE

1 – Emile Armand, L’iniziazione individualista anarchica, 1923, Tip di C. Mori 1956.

2 – Bakunin, Stato e anarchia, 1873, Feltrinelli.

3 – Bibbia, Lettera agli Ebrei, 11,8. NdA – Il chiamato da Dio, obbedì è Abramo.

4 – Hannah Arendt, La banalità del male, 1963, Feltrinelli.

5 – Comitato invisibile, L’insurrezione che viene, 2007.

6 – Colin Ward, Anarchia come organizzazione, 1976, Eleuthera.

7 – Isabelle Attard, Perché sono diventata anarchica, 2021, Eleuthera.

8 – G. Ragona, Anarchismo, ivi.

9 – Emile Armand, L’iniziazione individualistica anarchica, 1923, Tip di C. Mori 1956.

10 – Amedeo Bertolo, Anarchici e orgogliosi di esserlo, 2017, Eleuthera.

11 – José Antonio Emmanuel, L’anarchia spiegata ai bambini, 2022, Ed Risma.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi

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N. 19 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE TRADIZIONALE

«Splendido!». Pottutto attese che tornassi al mio posto. «Vuole una sigaretta?»

«Ho smesso da quando mio padre…»

«La prenda!». Sorrise a bocca stretta. «Mica vorrà godersi tutti gli ergastoli?» Svaporò sulle lenti degli occhiali. «Sa cosa credo?»

«Sono curioso» dissi.

«Credo che le piaccia parlare di libertà e di eguaglianza, ma sotto sotto vorrebbe che tutti la pensassero come lei!»

«Di solito questo avviene in democrazia…»

«Non vuole che gli altri le dicano cosa fare, ma vorrebbe che gli altri facessero cosa dice!»

«Questa invece è la tirannia che sta dietro la sua maschera!»

«Non le credo!»

«Se non crede a me, creda a Emile Armand quando dice che gli anarchici ritengono che l’esercizio e la pratica della dominazione sia pregiudizievole e nefasta allo sviluppo e alla espansione della personalità umana. Per questo non si sognerebbero mai di imporre il loro punto di vista a coloro che dichiarano di non saper fare a meno dei paraocchi e delle redini dell’autorità1. L’anarchia non impone la propria visione del mondo. Auspica però che le persone diventino più consapevoli e si uniscano per migliorarlo. Una crescita che comincia da ragazzi, quando si è fragili e manipolabili. Non a caso i libertari considerano l’educazione il principale mezzo di emancipazione contro le deturpazioni provocate dal dominio. Criticano, infatti, la scuola tradizionale, che invece di sviluppare la personalità degli individui, mortifica e annichilisce imponendo nozioni inutili, un apprendimento acritico e costringe all’obbedienza annullando la soggettività. Insomma, tutti siamo andati a scuola…».

Manganello tossicchiò.

«Okay, quasi tutti!» precisai. «Ricordiamo i banchi scomodi, il silenzio durante le lezioni, la possibilità di parlare se interrogati, l’alzarsi se autorizzati e via discorrendo. C’è un professore che comanda, ci sono gli studenti che obbediscono. Un rapporto vessatorio, verticale, che inevitabilmente degenera in relazione sociali alterate, in cui l’individuo non può esprimere la propria autenticità perché costretto a essere disciplinato, deferente e remissivo. Disciplina, consenso e remissività che, come dice Francesco Codello, sono le basi su cui il potere si regge.»

«Mi sta dicendo che se il mondo non le piace la colpa è dei maestri?»

«Le sto dicendo che la scuola è uno dei tanti strumenti utilizzati per ammaestrare le persone e renderle incapaci di agire autonomamente. Dice Bakunin: la libertà di ogni individuo è il riflesso della sua umanità o del suo diritto umano nella coscienza di tutti gli uomini liberi, suoi fratelli, suoi eguali in quanto io stesso sono umano e libero soltanto nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. Solo rispettando la loro umanità rispetto la mia essenza umana2. Ma perché l’individuo realizzi questo egoismo altruistico occorre che apprenda e viva l’esperienza coscientemente, senza condizionamenti che lo determinano: sia capace di autodeterminarsi. Cosa che sarà sempre preclusa se la sua mente verrà infarcita dalla logica della supremazia. Non è un caso, infatti, che i più innovatori pedagoghi fossero libertari.»

«Libertini?»

«Libertari!»

«Libertari?»

«È sinonimo di anarchici» spiegai: «Come dice Gaston Piger: è un termine che fa meno paura di anarchico» precisai. «Però fa molto fariseo. Per questo piace tanto ai perbenisti!»

 

«L’educazione tradizionale, che indottrina e plasma la mente all’obbedienza, è l’espressione della società autoritaria, in cui il chiamato da Dio, obbedì3 porta le sue convinzioni a realizzare la banalità del male di cui parla Hannah Arendt4». E guardando Manganello che esitava a scrivere il nome: «Hannah si scrive con due H» dissi.

«Come Deborah-h?» Con doppia aspirazione finale.

«Una all’inizio e una alla fine» precisai. «Le scuole sono carceri e l’apprendimento acritico crea solo individui narcotizzati che una volta tornati in società sono automi consenzienti. L’errore, non casuale, è di prospettiva: io studio perché mi piace, perché mi aiuta a crescere, perché il Potere non si combatte con l’ignoranza o la remissività. E poi, mi permetta…»

«Deve andare in bagno?»

«No!» risposi. «Educare viene da ex-ducere, tirar fuori. Non plasmare, imporre, trasferire, determinare o altro. Anche etimologicamente…!»

«Quindi?». Pottutto mi sollecitò a concludere.

«Quindi l’educazione tradizionale assolve la funzione di conformare e di selezionare. Addomesticare il discente all’obbedienza a cui sarà costretto per tutta la vita e selezionare per il mercato gli individui più obbedienti, docili, remissivi, perciò efficienti, produttivi, performanti, sottomessi proprio come vuole il sistema.»

«Come al solito le piace esagerare. A scuola, come nella vita, sono i migliori che vanno avanti!»

«I migliori chi?» sorrisi. «La meritocrazia è una baggianata. Già nell’Ottocento Bakunin la definiva l’ideologia del nuovo capitalismo. Recentemente anche il Papa ha detto che è la legittimazione etica della disuguaglianza. E poi, chi sono questi così detti migliori? I più bravi a sgobbare? I più obbedienti? I drogati del profitto? Per non parlare di come il denaro assicuri ai soliti figli di scuole prestigiose, master, esperienze all’estero e conoscenze necessarie all’inserimento nel mondo del lavoro che conta.»

«Non sapevo che il qualunquismo fosse una caratteristica dell’anarchia!»

«La chiamerei più presa di coscienza che nella società del dominio l’eguaglianza sostanziale, cioè la parità di condizioni di partenza, è l’ennesima illusione soffiata in faccia ai sempliciotti.»

«Quindi, secondo lei la scuola non serve a niente?»

«Non ho detto questo! Senza la castrazione scolastica la società del dominio non potrebbe sfornare a getto continuo impiegati ben addomesticati5

«Quanti bei discorsi!» il maresciallo si stizzì. «Posso andare a chiamare l’agente Sevizia che questo non lo sopporto più?»

«Si rimetta a sedere, Manganello!» lo esortò Pottutto.

 

NOTE

Vedi cap 20

Editing a cura di Costanza Ghezzi

In foto: Francisco Goya, Scene di scuola, 1785