N. 19 – EDUCAZIONE: EDUCAZIONE TRADIZIONALE

«Splendido!». Pottutto attese che tornassi al mio posto. «Vuole una sigaretta?»

«Ho smesso da quando mio padre…»

«La prenda!». Sorrise a bocca stretta. «Mica vorrà godersi tutti gli ergastoli?» Svaporò sulle lenti degli occhiali. «Sa cosa credo?»

«Sono curioso» dissi.

«Credo che le piaccia parlare di libertà e di eguaglianza, ma sotto sotto vorrebbe che tutti la pensassero come lei!»

«Di solito questo avviene in democrazia…»

«Non vuole che gli altri le dicano cosa fare, ma vorrebbe che gli altri facessero cosa dice!»

«Questa invece è la tirannia che sta dietro la sua maschera!»

«Non le credo!»

«Se non crede a me, creda a Emile Armand quando dice che gli anarchici ritengono che l’esercizio e la pratica della dominazione sia pregiudizievole e nefasta allo sviluppo e alla espansione della personalità umana. Per questo non si sognerebbero mai di imporre il loro punto di vista a coloro che dichiarano di non saper fare a meno dei paraocchi e delle redini dell’autorità1. L’anarchia non impone la propria visione del mondo. Auspica però che le persone diventino più consapevoli e si uniscano per migliorarlo. Una crescita che comincia da ragazzi, quando si è fragili e manipolabili. Non a caso i libertari considerano l’educazione il principale mezzo di emancipazione contro le deturpazioni provocate dal dominio. Criticano, infatti, la scuola tradizionale, che invece di sviluppare la personalità degli individui, mortifica e annichilisce imponendo nozioni inutili, un apprendimento acritico e costringe all’obbedienza annullando la soggettività. Insomma, tutti siamo andati a scuola…».

Manganello tossicchiò.

«Okay, quasi tutti!» precisai. «Ricordiamo i banchi scomodi, il silenzio durante le lezioni, la possibilità di parlare se interrogati, l’alzarsi se autorizzati e via discorrendo. C’è un professore che comanda, ci sono gli studenti che obbediscono. Un rapporto vessatorio, verticale, che inevitabilmente degenera in relazione sociali alterate, in cui l’individuo non può esprimere la propria autenticità perché costretto a essere disciplinato, deferente e remissivo. Disciplina, consenso e remissività che, come dice Francesco Codello, sono le basi su cui il potere si regge.»

«Mi sta dicendo che se il mondo non le piace la colpa è dei maestri?»

«Le sto dicendo che la scuola è uno dei tanti strumenti utilizzati per ammaestrare le persone e renderle incapaci di agire autonomamente. Dice Bakunin: la libertà di ogni individuo è il riflesso della sua umanità o del suo diritto umano nella coscienza di tutti gli uomini liberi, suoi fratelli, suoi eguali in quanto io stesso sono umano e libero soltanto nella misura in cui riconosco la libertà e l’umanità di tutti gli uomini che mi circondano. Solo rispettando la loro umanità rispetto la mia essenza umana2. Ma perché l’individuo realizzi questo egoismo altruistico occorre che apprenda e viva l’esperienza coscientemente, senza condizionamenti che lo determinano: sia capace di autodeterminarsi. Cosa che sarà sempre preclusa se la sua mente verrà infarcita dalla logica della supremazia. Non è un caso, infatti, che i più innovatori pedagoghi fossero libertari.»

«Libertini?»

«Libertari!»

«Libertari?»

«È sinonimo di anarchici» spiegai: «Come dice Gaston Piger: è un termine che fa meno paura di anarchico» precisai. «Però fa molto fariseo. Per questo piace tanto ai perbenisti!»

 

«L’educazione tradizionale, che indottrina e plasma la mente all’obbedienza, è l’espressione della società autoritaria, in cui il chiamato da Dio, obbedì3 porta le sue convinzioni a realizzare la banalità del male di cui parla Hannah Arendt4». E guardando Manganello che esitava a scrivere il nome: «Hannah si scrive con due H» dissi.

«Come Deborah-h?» Con doppia aspirazione finale.

«Una all’inizio e una alla fine» precisai. «Le scuole sono carceri e l’apprendimento acritico crea solo individui narcotizzati che una volta tornati in società sono automi consenzienti. L’errore, non casuale, è di prospettiva: io studio perché mi piace, perché mi aiuta a crescere, perché il Potere non si combatte con l’ignoranza o la remissività. E poi, mi permetta…»

«Deve andare in bagno?»

«No!» risposi. «Educare viene da ex-ducere, tirar fuori. Non plasmare, imporre, trasferire, determinare o altro. Anche etimologicamente…!»

«Quindi?». Pottutto mi sollecitò a concludere.

«Quindi l’educazione tradizionale assolve la funzione di conformare e di selezionare. Addomesticare il discente all’obbedienza a cui sarà costretto per tutta la vita e selezionare per il mercato gli individui più obbedienti, docili, remissivi, perciò efficienti, produttivi, performanti, sottomessi proprio come vuole il sistema.»

«Come al solito le piace esagerare. A scuola, come nella vita, sono i migliori che vanno avanti!»

«I migliori chi?» sorrisi. «La meritocrazia è una baggianata. Già nell’Ottocento Bakunin la definiva l’ideologia del nuovo capitalismo. Recentemente anche il Papa ha detto che è la legittimazione etica della disuguaglianza. E poi, chi sono questi così detti migliori? I più bravi a sgobbare? I più obbedienti? I drogati del profitto? Per non parlare di come il denaro assicuri ai soliti figli di scuole prestigiose, master, esperienze all’estero e conoscenze necessarie all’inserimento nel mondo del lavoro che conta.»

«Non sapevo che il qualunquismo fosse una caratteristica dell’anarchia!»

«La chiamerei più presa di coscienza che nella società del dominio l’eguaglianza sostanziale, cioè la parità di condizioni di partenza, è l’ennesima illusione soffiata in faccia ai sempliciotti.»

«Quindi, secondo lei la scuola non serve a niente?»

«Non ho detto questo! Senza la castrazione scolastica la società del dominio non potrebbe sfornare a getto continuo impiegati ben addomesticati5

«Quanti bei discorsi!» il maresciallo si stizzì. «Posso andare a chiamare l’agente Sevizia che questo non lo sopporto più?»

«Si rimetta a sedere, Manganello!» lo esortò Pottutto.

 

NOTE

Vedi cap 20

Editing a cura di Costanza Ghezzi

In foto: Francisco Goya, Scene di scuola, 1785