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N. 21 – LA LIBERTÀ

«Qualificare la libertà è complesso perché non esiste una definizione unica. Lo dimostra il fatto che ogni dottrina filosofica ha voluto spiegarla a modo suo. Si va da Aristotele per il quale un’azione è volontaria e libera quando non è condizionata da fattori esterni, alla teologia per cui la razionalità non conta niente perché Dio è tanto buono che ci dona la sua grazia; da Spinoza per il quale l’uomo è uno dei modi di essere Dio ma Dio è migliore, all’ottimismo di Rousseau per cui: l’uomo nasce libero, ma ovunque è in catene; dalla libertà kantiana che si realizza attraverso la ragione e fuori dall’esperienza, alla concretezza di Hegel che la identifica in un processo dialettico dello Spirito Universale insito nella storia; da Marx per cui è strumento di liberazione economica, sociale, politica, a…»

«Oh!» esplose Pottutto. «Ora basta!»

«Solo l’ultima, dottore!» lo pregai. «A Sartre per cui l’uomo sarà sempre un’infelice perché consapevole di non essere trascendente; da… scherzavo!».

Il pubblico ministero ne approfittò per tirare fuori dalla tasca della giacca una baguette farcita con prosciutto crudo, cipolle rosse tagliate a rondelle, scaglie di grana, pancetta, uovo sodo, tonno, bresaola, mango, cetriolini, crema di piselli, due gocce di olio al tartufo, frittata, pomodori secchi, e un mix di mascarpone, maionese, senape e mostarda.

Lo so perché ne chiesi un pezzettino.

«Gustosissimo!» dissi.

«L’ha preparata la mia mammina!».

Con un’occhiata gli feci capire che Manganello stava sbavando.

Lo ignorò.

«Quanto le piacerà citare i filosofi!». Tornò a me con tono confidenziale.

«Tutto ciò che diciamo è già stato detto. Allora perché non riconoscerlo? E poi la filosofia aiuta a pensare e pensare è importante, ci distingue da… un cetriolo!». Ne raccattai un pezzetto caduto sui pantaloni. «Filosofia a parte, vorrei dare una versione personale della libertà.»

«È una cosa lunga?»

«La definizione è brevissima: la libertà è assenza di costrizioni o detto alla Nettlau: non fare socialmente quello di cui uno non sente bisogno

«Tutto qui?»

«Suppergiù!» sollevai le spalle. «Sono libero quando nessuno mi impone o mi impedisce di svolgere la mia attività intellettuale, oppure ostacola o determina la mia condotta. Sono libero se penso, scelgo e agisco come voglio per soddisfare il mio interesse, per realizzare il mio bene, per conseguire la mia felicità che, lo dico benché sia scontato, non può essere materiale giacché condizionata dalla necessità. Ma quali sono gli ostacoli alla mia libertà

«A parte una decina di ergastoli?».

Ignoro: «Sono quelli che le impediscono lo sviluppo personale: tutto ciò che avversa la vita, la salute, l’identità personale, la libera manifestazione del pensiero, eccetera. In sintesi: un’autorità che dica di fare ciò che non voglio fare.»

«Ha citato i diritti soggettivi sanciti dalla Costituzione che però con il non voler fare…?»

«La quale, però, non ha fatto altro che codificare diritti innati preesistenti a essa, che l’uomo ha sempre considerato inalienabili, irrinunciabili e imprescrittibili. In questo modo se ne è appropriata affinché i governi potessero interpretarli secondo la convenienza.»

«Non la seguo!»

«Prendiamo un diritto a caso: il diritto alla salute. Non c’è bisogno che dimostri che l’uomo lo riconosce e garantisce da sempre. La Costituzione lo definisce come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Ciò significa che lo Stato si impegna a fornire gli strumenti per assicurare alla società i mezzi per tutelarla. Lo stesso articolo, però, prevede che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Ecco l’ipocrita, benché immancabile, contraddizione che consente di derogare il diritto naturale: stabilendo infatti che il trattamento sanitario può essere disposto nei confronti dell’individuo anche contro la sua volontà o il suo interesse con una semplice legge, di fatto lo spoglia della titolarità conferendola allo Stato. Facile immaginare come gli effetti di questa stortura possano essere devastanti. Se domani, ad esempio, un governo ritenesse utile che fossimo biondi, basterebbe una legge e tutti dovremmo tingere i capelli, pena la sanzione, la segregazione, la disapprovazione sociale… Ma non divaghiamo!»

«Ecco bravo, non divaghiamo!»

«Stavo dicendo che la libertà è determinarsi nel mondo senza ostacoli. Cercate voi stessi, diventate egoisti, ognuno di voi divenga Dio onnipotente! diceva Stirner, che aggiungeva: riconoscete ciò che siete veramente e lasciate correre le vostre aspirazioni ipocrite, la vostra stolta mania di essere qualcos’altro da ciò che siete1. Per gli anarchici, infatti, libertà significa essere sovrani di se stessi, quindi scegliere di dare forma alla propria volontà. Essere liberi di pensare, di vestire, di andare, di condividere, di lavorare, di amare, e potrei continuare. Una libertà, pertanto, non assoluta né astratta, ma concreta. Siamo en dehors, dice Emile Armand, che vogliono vivere per vivere, per compiere la propria funzione di bipede a statura eretta, dotato di pensiero e di sentimento, capace di analizzare delle emozioni e di catalogare le sensazioni. Vivere per vivere, senz’altro. Vivere per trasferirsi da un luogo all’altro, per apprezzare le esperienze intellettuali, morali, fisiche, delle quali è cosparsa la strada di ciascuno: per goderne; per suscitarne quando l’esistenza appare troppo monotona; per porvi fine o rinnovarle, secondo i casi. Vivere per vivere, per soddisfare i bisogni del cervello e il richiamo dei sensi. Vivere per acquistare il sapere, per lottare e formarsi un’individualità spiccata, per amare, per abbracciare; per cogliere i fiori dei campi e mangiare i frutti degli alberi. Vivere per produrre e consumare, per seminare e raccogliere, per cantare all’unisono con gli uccelli, distendersi al sole sulla spiaggia dei mari e sul greto dei fiumi». E ancora: «Vivere per vivere, per goderne aspramente, profondamente, di tutto ciò che offre la vita» E qui si fa quasi poetico: «Per sorseggiare fino all’ultima goccia la coppa di delizie e di sorprese che la vita tende a chiunque acquista coscienza del proprio essere».

Attesi qualche secondo perché Pottutto e Manganello si riprendessero dallo shock della lunga citazione.

«Ma perché ciò sia possibile, gli anarchici vogliono vivere in libertà, senza che una morale esteriore o imposta dalla tradizione o dalla maggioranza stabilisca comunque delle frontiere fra lecito e illecito». Altra veloce pausa e: «Vivere per vivere, senza opprimere altrui, senza calpestare le aspirazioni o i sentimenti di chicchessia, senza dominare o sfruttare, ma da essere liberi che resistono con ogni forza alla tirannia di Uno Solo come all’assorbimento delle Moltitudini2».

Il volto di Manganello era ormai nascosto fra le pieghe della pappagorgia.

Pottutto mi fissava con due biglie da pista sulla spiaggia al posto degli occhi.

Avrei giurato di scorgere in una la foto di Moser, nell’altra quella di Saronni.

 

«Le parole di Armand ribadiscono quanto per giungere alla libertà sia necessario affrontare quel periglioso quanto entusiasmante processo di iniziazione, che attraverso la conoscenza del sé, giunge alla possibilità di compiere un’azione intelligente, spontanea, contingente e non lesiva degli altri…coniugandosi con autonomia, solidarietà, volontà, in una dinamica infinita3

«Iniziazione tipo caverna platonica!»

«Bello quest’esempio filosofico!»

«Massoneria!». Pottutto mi corresse. «È la stanza buia in cui mi hanno chiuso per ore!4»

«La libertà è una conquista. Non può essere concessaparziale, cioè elargita dallo Stato, dal Re, dal Potestà, da Dio, dalla società, da un individuo chicchessia, in quanto nasconderebbe nel suo seno una qualche forma di autorità. È indivisibile, non si può toglierne una parte senza ucciderla tutta diceva Bakunin. E aggiungeva: sono veramente libero solo quando tutti gli esseri che mi circondano, uomini o donne, sono egualmente liberi. La libertà degli altri, lungi dall’essere un limite o la negazione della mia libertà, ne è al contrario la condizione necessaria e la conferma. Non divengo veramente libero se non attraverso la libertà degli altri, così che più numerosi sono gli uomini liberi che mi circondano, e più profonda e ampia diviene la mia libertà. È invece proprio la schiavitù degli uomini a porre una barriera alla mia libertà, o, che è lo stesso, è la loro bestialità a negare la mia umanità; perché, di nuovo, posso dirmi veramente libero solo quando la mia libertà, o, che è lo stesso, quando la mia dignità di uomo, il mio diritto umano, che consiste nel non obbedire a nessun altro uomo e nel determinare i miei atti in conformità con le mie convinzioni, mediate attraverso la coscienza ugualmente libera di tutti solo quando la mia libertà e la mia dignità mi ritornano confermate dall’assenso di tutti. La mia libertà personale, così convalidata dalla libertà di tutti, si estende all’infinito5»

Ripresi fiato.

«Bakunin giunge quindi alla straordinaria conclusione che la libertà deve essere condivisa perché uno è tutto e tutto è uno. Se vivessi su un’isola deserta, sicuramente sarei libero: un Robinson Crusoe solitario che parla con la noce di cocco. Divertente all’inizio, ma poi dovrei scegliere fra abbattere la palma a testate o concedermi agli squali. Allo stesso modo, fossi circondato da servi, mi vergognerei della mia libertà, mi disprezzerei per la mia indifferenza. Perché la libertà, la vera libertà, non può prescindere dalla co-partecipazione all’armonia universale. Sono libero solo se anche gli altri lo sono e gli altri lo sono se tutti siamo eguali. Per questo libertà ed eguaglianza sono complementari. La libertà senza eguaglianza è privilegio, l’uguaglianza senza libertà è una tirannia6. Ed è in questa identità fra individui che l’eguaglianza si realizza spontaneamente sotto forma solidarietà. Che non è la solidarietà evangelica, cioè la virtù teologale per la quale si ama il prossimo per amore di Dio, non è la solidarietà sociale che impone l’uniformità per essere manipolabili, bensì una comunità di affinità che si oppongono alla tirannia e condividono uno scopo. Fratelli, infatti, gli anarchici si chiamano fra loro. Per taluni camerati, compagni per altri. In sostanza, individui riuniti sotto la stessa bandiera, guidati da obiettivi comuni, stimolati da un’unione materiale e spirituale autentica, razionale e sentimentale».

Al mio silenzio Pottutto replicò con un’espressione fra il pianto e la nausea.

«Che ha, si sente male?» chiesi preoccupato.

«Tutto bene» singhiozzò. «Rimpiango solo d’aver accettato l’incarico

 

 

«So a cosa sta pensando. Lei sta pensando che sono un illuso perché gli uomini sono divoratori di altri uomini, vero?»

«Homo homini lupus

«Bravo, ha studiato Hobbes!» rilevai sarcastico. «La concezione che gli uomini siano guidati da istinti animali e che, se non controllati, si mangerebbero vicendevolmente è la solita giustificazione autolegittimante del dominio che fa leva sul servilismo dei molti. La maggior parte degli uomini non mangia nessuno. Al massimo abbaia senza mordere. Di sicuro, però, vivere in una società che nel migliore dei casi non ha fatto altro che imporre un unico modello di vita a tutti, senza rispettare le differenze e i bisogni individuali e sociali, come diceva Emma Goldman, accresce frustrazione e alienazione, quindi induce a rifiutare la vita, le relazioni, la natura stessa, impedendo all’individuo di raggiungere la piena consapevolezza di sé. Che fare allora?»

«Già, che facciamo?»

«Nessuno ci libererà se non noi stessi. Dobbiamo dichiarare guerra agli agenti dannosi che fino a ora hanno impedito la fusione armoniosa degli istinti individuali e sociali, afferma ancora la Goldman. Perché la vera armonia scaturisce naturalmente dalla comunanza di interessi, cioè dalla fusione dell’individuo con la collettività. Una fusione che si realizza spontaneamente superando i fantasmi7 della religione che plagia le menti, del governo che soggioga le condotte, della proprietà che vincola ai bisogni e nega le aspirazioni. Ma la libertà non sarà mai concessa. La logica del dominio non può tollerarla. La libertà si conquista

«Scommetto mezzo sigaro», Pottutto tirò fuori un cubano dalla tasca della giacca, «che avete in progetto di far esplodere qualche bella bombetta!» disse tutto eccitato.

«Parli, stragista!» grugnì Manganello.

«Mi spiace deludervi» risposi. «Ma non faccio scoppiare neppure i petardi a Capodanno!»

«Rapimento di qualche autorità?»

«Tipo?»

«Non so… un parlamentare?»

«Ci costerebbe troppo» dissi. «Quelli mangiano assai!»

«Allora un assessore!»

«E, secondo lei, mi abbasserei a rapire un assessore?»

«Un generale dell’esercito?»

«Meglio uno sbirro. Quantomeno gli restituiremmo pan per focaccia!» dico scherzando.

«Spero non sia un pubblico ministero!»

«Non si preoccupi, non rapiamo nessuno!». Chiusi la questione. «Per Malatesta la libertà è la massima aspirazione di ogni anarchico, che non si conquista e non si conserva se non attraverso lotte faticose e sacrifici crudeli. La lotta è infatti il più sacro dei doveri, dice Bakunin, ma non potrà svilupparsi in un confronto suicida col Potere

«Perché ne tocchereste, eh?» si svegliò Manganello.

«Non mi dica che sta pensando di imbrattare qualche muro, mi deluderebbe!» disse Pottutto.

«Sarà spontanea. Sarà un’ombra. Sarà silenziosa. Sarà impercettibile. Sarà costante e diffusa. Sarà…»

«Sarà, sarà quel che sarà, del nostro amore che sarà…». Pottutto iniziò a cantare.

«Prendiamo oggi quel che dà, e quel che avanza per domani basterà…» seguì Manganello.

«E quando avremo qualche anno di più, se a dirmi t’amo sarai ancora tu…» di nuovo il magistrato.

«La mia dolce gelosia ti terrà un po’ compagnia ogni volta che andrai via!8» In coro. Stringendosi poi in un caloroso abbraccio.

 

NOTE

1 – Max Stirner, L’unico e la sua proprietà, ivi.

2 – Emile Armand, Iniziazione individualista anarchica, ivi. (NdA. En dehors è come Armand chiamava i refrattari, i ribelli).

3 – Francesco Codello, Né obbedire né comandare lessico libertario, 2009, Eleuthera.

4 – Nell’iniziazione massonica è il luogo buio in cui sosta l’iniziato durante il rito di passaggio prima di vedere la luce. Simbolizza la morte prima della nascita.

5 – M. Bakunin, Dio e Stato, 1882, Feltrinelli.

6 – NdA. La frase originale è: la libertà senza socialismo è un privilegio dell’ingiustizia; il socialismo senza libertà è schiavitù e brutalità.

7 – NdA. Per Stiner, Stato, religione, morale, società, altro non sono che fantasmi.

8 – Tiziana Rivale, Sarà quel che sarà, 1997.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi

In foto: Rob Gonsalves, Badtime aviation, 2001

DISCORSO ALL’UMANITA’ NE “IL GRANDE DITTATORE” 1940

«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non voglio né governare né comandare nessuno. Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, fatto precipitare il mondo nell’odio, condotti a passo d’oca verso le cose più abiette.

Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchine ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è vuota e violenta e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno avvicinato la gente, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell’uomo, reclama la fratellanza universale. L’unione dell’umanità. Persino ora la mia voce raggiunge milioni di persone.

Milioni di uomini, donne, bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di segregare, umiliare e torturare gente innocente. A coloro che ci odiano io dico: non disperate! Perché l’avidità che ci comanda è soltanto un male passeggero, come la pochezza di uomini che temono le meraviglie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi comandano e che vi disprezzano, che vi limitano, uomini che vi dicono cosa dire, cosa fare, cosa pensare e come vivere! Che vi irregimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie! Voi vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchine con macchine al posto del cervello e del cuore.

Ma voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate. Coloro che odiano sono solo quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati, non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: «Il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo».

Non di un solo uomo, ma nel cuore di tutti gli uomini. Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, il progresso e la felicità. Voi, il popolo, avete la forza di fare si che la vita sia bella e libera.

Voi che potete fare di questa vita una splendida avventura. Soldati, in nome della democrazia, uniamo queste forze. Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a tutti un lavoro, ai giovani la speranza, ai vecchi la serenità ed alle donne la sicurezza. Promettendovi queste cose degli uomini sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. E non ne daranno conto a nessuno. Forse i dittatori sono liberi perché rendono schiavo il popolo.

Combattiamo per mantenere quelle promesse. Per abbattere i confini e le barriere. Combattiamo per eliminare l’avidità e l’odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!»