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27 STATO: CRITICA ALLA DELEGA ELETTORALE – SEGUE

 

«La democrazia non è la sola cosa che non ci piace dell’ordine costituito. Prima però di rimpinguare la lista, vorrei fossero chiari i motivi.»

«Li serbi per l’interrogatorio di garanzia!»

«Ma come?» esclamai. «Preferisce che sia un altro giudice a prendersi i meriti della confessione?». Mi rivolsi anche a Manganello: «Immagini la soddisfazione del suo nome scritto sul giornale!»

Si guardarono senza parlare.

«Va bene!» disse Pottutto. «Ma sia breve. E poi voglio dei nomi!»

«Quali nomi?»

Batté il pugno sul tavolo: «Tutti. A partire da quando andava all’asilo!».

Non avevo ricordi di quella fase embrionale, così gli raccontai di come sabotavo il registro di classe. Poi ripresi a parlare: «Ho criticato il concetto di sovranità popolare e ho affermato che le elezioni sono una farsa perché rappresentano l’abdicazione alla sovranità individuale.»

«Brevemente!»

«Brevemente!» ripetei. «Delegare significa essere servi di qualcuno, per pigrizia, interesse, abitudine, comodità, paura, ecc1, quindi rinchiusi in quella gabbia di bisogni gestita da esperti, nello specifico quei mestieranti della manipolazione che sono i politici, in cui è impossibile l’esercizio dell’autonomia. Per questo gli anarchici ne rifiutano ogni forma, compresa la delega politica. Come dice Enrico Manicardi, forse il più importante teorizzatore italiano dell’anti-civilizzazione, o gli uomini non sono considerati capaci di autodeterminarsi, allora non si spiega come uno solo possa farlo per gli altri, oppure si ammette che lo sono, ma allora non c’è bisogno che qualcuno li comandi.»

«Tutto qui?»

«Mi ha chiesto brevemente!»

«Scommetto che non è finita!»

«Lei è una volpe!» lo adulai. «Un’altra obiezione, infatti, prende spunto dalle argomentazioni di Lisander Spooner. Egli sostiene l’immoralità che la delega politica escluda la responsabilità del governante per le sue azioni. In effetti se la prassi e il Codice civile prevedono che il mandatario sia responsabile verso il mandante, perché la Costituzione sancisce che ogni membro del Parlamento esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato2

«Perché?» chiese Manganello a Pottutto.

«Perché?», Pottutto chiese a me.

«Perché ha ragione Spooner quando afferma che il governo esercita secondo diritto e ragione, un dominio puramente personale, arbitrario, irresponsabile e usurpato dai legislatori stessi, e non un potere delegato loro da qualcuno3. Basti pensare che nel diritto comune il mandato generico si applica solo ai minori e gli interdetti per ribadire che la rappresentanza è il congegno mediante il quale il popolo sovrano viene con il proprio consenso interdetto e sottoposto alla tutela delle classi privilegiate4».

«Solita esagerazione!»

«Che non sia un’esagerazione lo conferma Bakunin quando sostiene che il principio di autorità dello Stato si fonda sull’idea eminentemente teologica, metafisica e politica secondo cui le masse, sempre incapaci di governarsi da sole, devono sottomettersi al benefico giogo di una saggezza e di una giustizia loro imposte. Per cui se per il Potere il popolo è una bestia5, il governo può costringerlo all’obbedienza con ogni mezzo repressivo che si autolegittima a usare. Ne consegue che, e torno a Bakunin, persino nell’imporre il bene lo Stato è nocivo e corruttore proprio perché opera un’imposizione!6».

Afferrai il bicchiere di plastica. Era vuoto. Finsi di bere per non dare soddisfazione ai mei interlocutori.

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«Altra favoletta è che in democrazia tutti possano partecipare all’attività politica. Niente di più falso!» dissi. «Intanto per candidarsi, fare campagna elettorale, svolgere attività serve denaro. Molto denaro. Talmente tanto che il parlamento straripa di ricchi affaristi che non hanno la minima idea di cosa sia la vita reale. In secondo luogo, per partecipare all’attività politica occorre avere conoscenza. Una conoscenza culturale, delle tradizioni, della collettività, delle relazioni, della pratica che persino nelle società policefale conferisce competenze sull’uso del potere nei processi decisionali partecipativi7. Una conoscenza che manca alla massa di elettori costretta a vivere in una dimensione marginalizzata, dominata da dinamiche tecnologiche padroneggiate solo da pochi eletti. Ciò comporta che le stesse scelte politiche, economiche, sociali vengono affidate a uomini di scienza, con l’effetto di creare una dittatura di saggi onnipotenti, ma in realtà incoscienti, su cittadini incapaci di misurare la portata della posta in gioco8. Non siete d’accordo?»

«Su cosa?». Manganello sollevò mollemente il testone.

«Almeno faccia finta di ascoltarmi!» lo ripresi.

«Ma la sto ascoltando!»

«Allora si sforzi di capire!»

«Si sforzi un pochino, maresciallo. Non mi faccia fare queste figure!», lo rimproverò anche Pottutto.

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«Altro paradigma della democrazia rappresentativa è il principio della maggioranza con cui si stabilisce che la decisione prevalente è quella che raccoglie più consensi. Fondata sull’assunto rousseauiano che la sua decisione realizza sempre la volontà generale9, di cui però non dà dimostrazione, essa porta all’inevitabile schiavitù volontaria. Di fatto la maggioranza è il più subdolo mezzo per annientare le divergenze. Inconcepibile per chi, come noi anarchici, fa del pluralismo un principio unificatore».

«E quindi?»

«Quindi vi invito ancora a leggere Spencer. Trovate le sue parole nell’articolo del 1.10.23. Asserisce il filosofo: forse si dirà che questo consenso non è specifico ma generale e che è inteso che il cittadino abbia dato il suo assenso a ogni cosa che il suo rappresentante possa fare quando egli ha votato per lui. Ma supponiamo che egli non abbia votato per lui e, al contrario, abbia fatto tutto ciò che era in suo potere per eleggere qualcuno che sostiene idee opposte. Cosa diciamo allora? La risposta, probabilmente, sarebbe che, prendendo parte alle elezioni, egli ha tacitamente consentito ad attenersi alla decisione della maggioranza. E come la mettiamo con chi non ha votato affatto? Ebbene, in questo caso, non può giustamente lamentarsi, visto che non ha protestato contro la sua imposizione. In questo modo, abbastanza curiosamente, sembra che egli abbia dato il suo consenso in qualunque modo abbia agito: sia che abbia detto sì, sia che abbia detto no, sia che sia rimasto neutrale! Una dottrina piuttosto imbarazzante questa10». Pausa. «E così si ritorna a Stirner, per cui il principio della maggioranza e delle elezioni in generale non è altro che l’ennesimo strumento con cui il Potere concede diritti per creare schiavitù».

«Vorrebbe decidere con la monetina?» disse sarcastico Pottutto.

«Avete presente l’esempio della scatola di fagioli?» chiesi.

«A quest’ora ci sta più uno snack al cioccolato!»

«Immaginate che il vostro commerciante preferito un giorno smetta di vendere la marca di fagioli che vi piace tanto perché, per risparmiare, decide di trattare esclusivamente quella che va per la maggiore. A quel punto o cambiate alimentari, oppure dovete adattarvi. In ogni caso subite la sua volontà11. Cosa spiega questo esempio?»

«Io so solo che i fagioli mi fanno scorr…!»

«Manganello!». Pottutto lo interruppe prima che finisse la volgarità.

«Dimostra che la maggioranza è sempre autoritaria in quanto chi è in minoranza deve obbedire alla sua volontà anche se ciò va contro i suoi interessi» rilevai. «Esiste unicamente un sistema che mette tutti d’accordo: la democrazia diretta, che consente la partecipazione personale alle decisioni, e che sia unanime, cioè condivisa.»

«Ma figurati!»

«Occorre cambiare la mentalità. Concepire la società non come un ostacolo ma come una sintesi delle singole individualità. Liberi accordi stabiliti tra gruppi liberamente costituiti per soddisfare l’infinita varietà di bisogni e di aspirazioni degli uomini civili, diceva Kropotkin12

«Embè, se lo diceva Kropotkin!»

 

NOTE

 

– 1 Francesco Codello, Né obbedire né comandare, lessico libertario, ivi.

– 2 Art 67 della Costituzione Italiana.

– 3 Lisander Spooner, Contro il potere legislativo, in La società senza Stato, a cura di Nicola Ianmnello, 2004.

– 4 Max Sartin, Il sistema rappresentativo e l’ideale anarchico, in Perché gli anarchici non votano, Ortica Editore, 2017.

– 5 D. Graeber, Dialoghi sull’anarchia, 2022.

– 6 M. Bakunin, Federalismo socialismo antiteologismo,1868.

– 7 Herman Amborn, Il diritto anarchico dei popoli senza stato, Eleuthera, 2021.

– 8 Philippe Godard, Contro il lavoro, 2011.

– 9 J. J. Rouseau, Il contratto sociale, 1762.

– 10 Herbert Spencer, Il diritto di ignorare lo Stato, ivi.

– 11 Gian Piero de Bellis, Panarchia, D-Editore, 2017.

– 12 Estratto della definizione di Anarchismo di P. Kropotkin nell’edizione del 1910 dell’Encyclopedia Britannica.

 

Editing a cura di Costanza Ghezzi