N 40 – RIBELLIONE OLTRE LA DISOBBEDIENZA: IL NON AGIRE DIVENTA COMUNITARIO (SEGUE)
«Prima di parlare della comunità, mi soffermo velocemente su alcune delle molteplici forme di disobbedienza civile».
«Velocemente quanto?»
«Il necessario.»
«Troppo!»
«Disobbedire è fondamentale sia a livello personale in quanto consente di maturare la consapevolezza di essere padroni di se stessi, sia a livello sociale, poiché agisce alla radice. Ma non è la soluzione definitiva. Non lo è perché se esercitata individualmente porta a emarginazione, se collettiva, invece, dopo l’imponente impatto iniziale, si scompone e si disperde per mancanza di omogeneità ideologica e pratica. Non lo è anche perché essendo diretta a modificare o eliminare specifici aspetti o singole norme, non si pone come possibilità antagonista, ma vuole trasformare o riformare. Un’accettazione implicita dell’autorità che determina l’inevitabile instaurazione di nuove forme di dominio. Per questo, ribadisco, il sistema non si cambia, si ignora creandone un altro fondato su principi diversi.»
«Mediare no, eh?»
«Mediare è un’ottima soluzione quando si ha da perdere. Ma qui è in gioco la dignità. La bestia non reagisce alle botte del padrone perché ha paura che picchi ancora più forte. Pensa a sopravvivere. Noi vogliamo vivere. E possiamo farlo soltanto essendo noi stessi. Ecco perché la disobbedienza spesso viene esercitata contestualmente a pratiche insurrezionali. Ma andiamo per gradi: il primo passo è il non agire di Godard.»
«Scriva, Manganello: Codard!»
«In quale altro modo poteva chiamarsi!». Il maresciallo lo compiacque. E a me: «Nome?»
«Philippe.»
«Morto anche lui?»
«Per ora è vivo e vegeto!». Colsi una luce sinistra nei loro sguardi: «È francese. Non potete arrestarlo!» precisai.
«Ah, francese?». Il PM corrugò la fronte. «Ha mica il suo numero di telefono?»
«No» dissi. «A cosa le serve, se posso…?»
«Ovvio: per chiamarlo e chiedergli di venire in Italia. Così lo arrestiamo!».
Mi complimentai per la strategia.
«Se ricorda, ho accennato alle sue teorie quando ho definito la democrazia come la forma più compiuta di dittatura scientifica. Contro il dispotismo dei sapienti, egli propone di non agire, cioè smettere di lavorare per il progresso. In questo modo si interromperebbe l’afflusso di profitti che alimenta la distruzione del pianeta e lo sfruttamento delle comunità umane. La sua proposta è ripartire cessando di agire contro la natura e rifiutando di impegnarci ancora sulla via del progresso per inventare un’esistenza diversa3. Laddove Goodman suggerisce di tracciare un limite in continuazione, Godard consiglia di tirare una linea e ricominciare con nuovi valori.»
«Scommetto che c’è un però!» rilevò il magistrato.
«Il principio è sacrosanto. Ma è efficace solo se la scelta diventa fusione di volontà. Senza fratellanza la non azione o resistenza passiva, come invece la definisce Emile Armand, manca di forza».
Indicai la pila di fogli.
«Leggo?» chiese Pottutto.
«Ci penso io. Lei non ci mette sentimento!» dissi. «Armand afferma che la resistenza passiva è un atto di ribellione o un insieme di azioni insurrezionali che si estrinsecano non per mezzo di manifestazioni di piazza, né con la sommossa, né con la lotta armata. Ripudiando al contempo ogni metodo violento fondato sull’eccitazione superficiale e passeggera delle moltitudini, propone quindi di innalzare barricate, astenersi da ogni attività, da ogni lavoro, da ogni funzione che implichi il mantenimento o il consolidamento di un dato regime imposto, rifiutarsi di pagare delle imposte o delle tasse destinate al funzionamento delle istituzioni. Prosegue con altri esempi: si può rifiutarsi di utilizzare come professori o come medici coloro che sono tali soltanto grazie a un diploma ufficiale. Oppure si può rifiutarsi di rispondere ai commissari, ai giudici, ai magistrati delle assise, e così via. Tutte condotte che, se svolte su grande scala, cioè con un movimento studiato, premeditato, deciso individualmente, inibirebbero la reazione dello Stato: che potrebbe fare contro questo sciopero silenzioso, ma deciso, contro questa astensione? 4 si chiede.»
«Qualche idea ce l’avrei!» borbottò Manganello.
«Armand è un’individualista e non lo ammetterà mai. Ma sostenendo che la resistenza passiva deve avvenire su larga scala perché se esercitata individualmente o in piccoli gruppi non cambia lo stato di fatto, riconosce implicitamente che solo la fratellanza può disgregare il sistema. Ecco perché la sua naturale evoluzione è la rivoluzione silenziosa di Colin Ward.»
«Colin come colino?» chiese Manganello per i suoi appunti.
Assentii con la testa.
«Questo pensatore post-anarchico realizza un ulteriore passo in avanti. Parla di comunità autogestita e antiautoritaria in cui la resistenza sia portata avanti da aggruppamenti di persone che si associano con finalità antagoniste al sistema. Diversamente dai vari Chomsky, Confort, Goodman e altri contemporanei, infatti, non propone una collaborazione con esso volta a modificarlo al suo interno. Sostiene che l’anarchia esiste già. Che sia viva e praticata. I suoi libri riassumono numerosissimi esempi passati e presenti in cui gli individui si uniscono per creare strutture omogenee, autonome e indipendenti dal Potere.»
«Me ne vuole indicare qualcuna?» chiese Pottutto.
«Le interessa davvero?»
«Al pranzo della domenica mi piace citare gli aneddoti dei miei inquisiti!»
«Le rivoluzioni individuali e collettive descritte da Ward si realizzano quando le persone si organizzano spontaneamente in maniera volontaria, autonoma, autogestita e antigerarchica, per la soluzione di problemi concreti, da risolvere senza l’interferenza delle Istituzioni, dello Stato, di qualsiasi forma di autorità. Se la gente percorre il suo cammino dall’utero alla tomba senza mai riconoscere né esprimere le proprie personalità umane, dice, questo avviene perché la possibilità di partecipare alle innovazioni, alle scelte, alle decisioni e ai giudizi è monopolio esclusivo di chi sta in alto5. A suo giudizio quindi l’alternativa esiste e si concretizza nella pratica quotidiana con uno slancio che costruisce spazi di libertà in cui esprimersi attraverso comunità federative, condivise, solidali, che…»
«Che fanno quello che vogliono!»
«Bravo Manganello, autonome. Ma anche volontaristiche, autogestite, indipendenti e mutualistiche. È una svolta straordinaria. Il punto da cui partire per un cambiamento concreto. In questo modo si può dar vita a quell’alternativa che non solo cancelli l’ingerenza autoritaria, non solo abbia scopi e metodi autonomi, non solo favorisca le potenzialità individuali, ma si sviluppi come società altra attraverso la creazione di molteplici entità antigerarchiche coordinate fra loro. Un raggruppamento di individualità che operino sinergicamente sottraendo funzionalità al Potere. Ward ha quindi colto l’essenza della comunità anarchica. Ma non basta.»
«Non basta?»
«Non basta!»
«Certo che lei non è mai contento!» chiosò il pubblico ministero.
NOTE
– 3 Philippe Godard, Contro il lavoro, invi.
– 4 Emile Armand, Iniziazione individualistica anarchica, ivi.
– 5 Colin Ward, Anarchia come organizzazione, ivi.
Editing a cura di Costanza Ghezzi
Immagine: Alberto Gallerati, Una bombardatina,