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45 – COMUNITÀ: AUTOGESTIONE

45 – COMUNITÀ: AUTOGESTIONE – segue

 

«Splendido!» tuonò Pottutto dopo aver guardato l’orologio. «Sono le otto e venti e non sono andato al supermercato. Se torno a casa senza spesa, la senti mia moglie!»

«Il pachistano all’angolo è aperto h24!»

«Lasci stare il pachistano!»

«Può sempre regalarle una calamita!» farfugliò il maresciallo.

Dopo una sceneggiata di mani in testa, sbuffi e lamenti, il pubblico ministero alzò il telefono: «Pronto?… Agente Lameno, buonasera. Non è che avete arrestato qualcuno nel pomeriggio?». Tappando la cornetta si rivolse a noi: «Giusto per interrogarlo quelle tre quattro ore e rincasare quando dorme!». Di nuovo all’interlocutore: «Va bene un qualsiasi spacciatore, ladruncolo, chiunque… No? Ma è sicuro? Può verificare? Magari non ci ha fatto caso… Non si distrae mai?… E non s’incazzi, era solo un’ipotesi!… Non ho detto parolacce!… Anche lei si dia una calmata!». Riattaccò e fissò il maresciallo: «Ma li educate o li prendete direttamente così?». Poi guardò me: «Prego, diceva?»

«Stavo descrivendo gli elementi principali della comunità anarchica ed ero arrivato all’autogestione. Ne ho parlato prima, per cui non mi dilungherò. «L’autogestione è la capacità dell’individuo di pensare agire in autonomia e del gruppo di decidere, organizzarsi, pianificare, difendersi, senza l’ingerenza di una volontà esterna. In una parola: autogoverno. Non è una categoria politica, né il prodotto di una scienza politica. Non è universale, non ha pretese di imporre una propria soluzione per tutta la società. In maniera plurale e sperimentale procede sottraendo campi parziali, simbolici e reali, alla sfera del dominio. In questi spazi il politico è annullato dal sociale e in tal senso autogestione è sinonimo di autogoverno: sono entrambi categorie del sociale17. Autogovernandosi la comunità sottrae potere al Potere, cioè risorse economiche e umane di cui ha bisogno per la sua conservazione e il suo progresso. Il massimo!». E pacatamente: «L’individuo non ha bisogno di chi gli dice cosa fare. Nel momento in cui rifiuta l’autorità e il profitto, comprende la meschinità di ogni egoismo. Finalmente affrancato dalla perversione della materialità, si identifica nel tutto e pensa e agisce in funzione della sua armonia.»

«Le ho già detto che mi sembra molto teorico!»

«E io ripeto che invece è pratico perché l’equilibrio si rispetta quando ogni cosa assolve il suo scopo naturale. Le faccio un esempio fuor di contesto: i fiumi sono corsi d’acqua la cui funzione è plasmare l’ambiente portandola dalla sorgente al mare. Se edifico un mulino per sfruttare la sua energia, non ne altero l’essenza: esso continua a scorrere e io macino i cereali. Se invece realizzo un impianto idroelettrico per accendere la luce di casa, trasformo le acque correnti in acque ferme rallentando il tempo di ricambio. E in questo modo creo devastanti ricadute sui processi biologici e fisici dell’ecosistema.»

«Vabbè, allora stiamo tutti al buio per salvare gli uccelli!» proferì il maresciallo sarcastico.

«Quando lo scopo è vivere in armonia col mondo, l’individuo non ha bisogno di regole che disciplinano le sue azioni, né di delegare a chicchessia i propri interessi. Opera spontaneamente affinché essa sia mantenuta. Ecco perché Malatesta affermava, pur senza cogliere la portata universale del principio, che la parte essenziale della vita sociale si compie al di fuori dell’intervento governativo18

«Sbaglio o registro una nota polemica?» disse Pottutto provocatorio.

«Non faccia il polemico!», gli fece eco Manganello.

Non polemizzai: «Lo Stato è un artificio della società del dominio in quanto il più forte ha bisogno di istituzioni per conservare i privilegi, consolidare la propria autorità e legittimare gli arbitri. È una presenza che impone con la violenza e l’inganno il modello sociale più congeniale al suo utile. L’anarchia invece è partecipazione, cioè realizzazione della propria personalità contribuendo a un progetto comune in cui ciascuno è protagonista. Quando l’individuo obbedisce è ciò che altri vogliono sia. Quando costruisce è se stesso. E così deve essere perché lo scopo della vita è che la volontà esploda in tutta la sua potenza. E ciò può avvenire soltanto se si fonde alle molteplicità in una simbiosi che persegue la naturale armonia.»

«E pensa che gli uomini siano capaci di fare meglio dello Stato?»

«Di sicuro è meglio per se stessi!»

«Alla fine creerebbero solo istituzioni che lo riproducono!»

«No!» sbottai esasperato. «Perché cambiati gli antefatti, l’autogestione è confronto e decisionalità continua, orizzontale, e tendenzialmente consensuale, senza il bisogno di deleghe permanenti, di norme unificanti19. Nonché un adattamento incessante all’ambiente, alle esigenze, al divenire della vita stessa, che dimostra di essere flessibile, cioè in continua costruzione, passibile di modifiche e tentativi di miglioramento in corso d’opera, com’è proprio delle sperimentazioni, e consapevole che tale dinamica è necessaria per trovare soluzioni ed evitare la ricomparsa di meccanismi burocratici tipici delle istituzioni governative20. Solo quando l’individuo si determina, cioè si emancipa dalle pastoie dell’autoritarismo e condivide la propria autonomia attraverso rapporti personali improntati alla solidarietà, alla reciprocità e all’imprescindibile affinità col mondo circostante, può dirsi realmente libero. Solo nella comunità realizza pienamente se stesso

«Qualche esempio?»

«La Comune di Parigi del 1871, i Soviet ucraini machnovisti, le assemblee di villaggio durante la rivoluzione spagnola del 1936…»

«Perché non le prime congregazioni cristiane!» aggiunse sarcastico. «Torni al presente, per cortesia!»

«Vuole che le parli dello zapatismo e del Rojava?»

«Cos’è, uno yogurt?» grugnì il PM sprezzante. «Mi riferivo alle vostre!»

«Alle nostre?». Ridacchiai. «Diceva delle nostre!» sghignazzai battendo la mano sul tavolo. «Capito maresciallo, diceva delle nostre!». Quasi piangevo dalle risate. Smisi di ridere perché sembravano non apprezzare la mia ilarità.

«Ma se vi auto-governate, significa che nessuno governa. E se nessuno governa, chi governa?». Il PM per primo ruppe il silenzio.

«Dottore, gliel’avrò detto almeno un milione di volte!»

«Lo ripeta per Manganello!»

«Nella comunità anarchica non ci sono leader, né capi. Le decisioni sono prese personalmente, senza delega. Ogni volta si applica quello che Ward definisce principio della lavorazione composta. Presente i minatori?»

«Spiace ma non ne conosco!»

«Prima di entrare in miniera si dividono in gruppi, ciascuno dei quali stabilisce come procedere all’estrazione. Non c’è un capo che organizza il lavoro e non c’è nessuno che comandi all’interno del gruppo. Definita l’attività, ognuno sa cosa deve fare e lo fa nel migliore dei modi. Alla fine si dividono i proventi pro quota e non per mansione. In questo modo ciascuno è responsabile della propria azione e ciascuno ha interesse che il compagno realizzi al meglio il suo servizio. Personalità e solidarietà: questa è anarchia

«Mi piace il paragone fra gli anarchici e i minatori!». Manganello gorgogliò.

«Suggestivo, vero?»

«È dove vi metterei tutti… in miniera intendo. E poi puff!» concluse disegnando con le mani un’esplosione.

 

NOTE

– 17 Guido Candela e Antonio Senta, La pratica dell’autogestione, 2017.

– 18 Errico Malatesta, Anarchia, ivi.

– 19 Guido Candela e Antonio Senta, La pratica dell’autogestione, ivi.

– 20 EZLN Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, Il pensiero critico di fronte all’idra capitalista, 2015.

Editing a cura di Costanza Ghezzi

Immagine: Mark Kostabi, Love, 1921