ULTIMO DISCORSO DI RAIMONDO MARIA DOPRAHO

ULTIMO DISCORSO DI RAIMONDO MARIA DOPRAHO

Lo accoglie un applauso intenso. Nella piazza vibra rispetto e devozione per quel guerrigliero solitario la cui leggenda ha ispirato numerose comunità anarchiche. Dall’epopea della dissidenza clandestina alla creazione di centri antiautoritari, dalla resistenza armata alla trattativa per l’indipendenza, dalla lotta contro l’industrializzazione allo spiritualismo naturista, la sua storia racconta di un uomo che con il pensiero ha bandito l’autorità e con le azioni ha realizzato l’eguaglianza delle molteplicità in cui la natura non è riparo né conforto, ma fratelli, amici, compagni con i quali condividere una nuova esistenza.

Cammina appoggiandosi al ramo levigato che lo accompagna da quando un proiettile sparato da un blindato gli perforò la coscia. Indossa un mantello color ruggine. Il volto è nascosto dal cappuccio, che improvvisamente abbassa con una mano mentre con l’altra saluta i presenti. Ha l’espressione stanca e la carne emaciata, ma gli occhi scuri scintillano in affettuosi abbracci. Mangiucchia il sigaro spento mentre ringrazia con la mano. Una donna gli offre una tazza di tè, che beve nell’attesa la folla si accomodi sull’erba.

Osserva le montagne lontane e con lo sguardo scende lentamente fino al bosco, dove chiude gli occhi e respira profondamente, quasi volesse inalarne l’aroma. Si china e raccoglie una pallina di mota. «Questa è tutto!» dice con voce flebile. «Ma anche quello è tutto!» indica il cielo. «Pure quelle!» punta il dito sulle vacche che pascolano distanti. «E questo!» batte la mano sul tronco su cui è seduto. «E voi gli appartenete!» Sorride teneramente agli sguardi carichi di attesa.

Quasi in contrasto con il mito che rappresenta, i suoi gesti sono lenti, le parole sussurrate, a tratti biascicate. Strofina spesso le mani. Volteggia con lo sguardo senza mai posarsi su qualcosa in particolare. Continua a mordicchiare il sigaro. Stringe la tazza di tè e la porta alla bocca. Sembra intimidito da tutta quella attenzione. Come se intimamente la giudicasse esagerata e, al contempo, non volesse manifestare la propria avversione per non sembrare irrispettoso.

Nella folla qualcuno osanna il suo nome. Parte un breve applauso.

Il compagno seduto vicino lo sollecita a parlare con un cenno.

Annuisce con una carezza al suo interlocutore. Osserva fuggente la folla. «Siete più numerosi dall’ultima volta!» proferisce sornione. «Tu mi sembri pure ringiovato!» Gli stringe il braccio affettuosamente. «Mi fa piacere incontrarvi prima di ripartire…» La nuova sospensione sembra più per distribuire gratitudine che per trovare le parole con cui proseguire. «Questi due giorni sono stati davvero molto istruttivi e piacevoli… Guarda qui!» Teatralmente si tocca il ventre eccitando l’ilarità dei presenti. Schiarisce la voce. Con la lingua scosta il sigaro su un angolo della bocca. Si alza e si rimette subito a sedere.

«Preferite che stia in piedi o seduto?» chiede.

«Ci tenevo a ringraziarvi tutti. La vostra esperienza dimostra che libertà e eguaglianza non sono concetti astratti, ma pratiche concrete realizzabili da uomini di buona volontà.

Avete rifiutato l’ingannevole civiltà, le sue perversioni e le sue false lusinghe e vi siete riappropriati della vostra umanità fuggendo nella natura, quel luogo meraviglioso e incontaminato in cui potete essere voi stessi. Guidati dalla genuinità che le appartiene avete costituito questa comunità forte e solida, dove ciascuno pensa e agisce in simbiosi con l’ecosistema. Avete dimostrato che è possibile vivere senza profitto e senza strutture di dominio. Avete creato un antiautoritarismo simbiotico, paritario e solidale in cui ogni elemento dell’ambiente è imprescindibile. Donandovi al selvaggio avete ripristinato la primordiale armonia grazie alla quale vi identificate nell’unità indivisibile e divenite coscientemente con essa.

Non avete leggi che vi impongono chi essere e cosa fare perché la spontaneità e la condivisione sono regole di vita. Non siete schiavi dei commerci perché soddisfatti i bisogni primari, godete i piaceri del mondo. Non competete perché la gratuità è il vostro premio. Non avete tecnologia che vi renda suoi ingranaggi in quanto le mani sono più che sufficienti per accarezzare la terra e l’istinto vi aiuta a districarvi nella boscaglia. Conoscete il significato del gesto, la profondità dell’esperienza, l’appagamento affettivo. Siete finalmente uomini liberi che agiscono paritariamente con gli esseri del mondo.

Questo, non l’ipocrisia, non il pregiudizio, non la finzione, vi rende forti, vivi, felici. E deve riempire d’orgoglio non me, non voi, ma l’umanità intera, perché avete dimostrato che può essere migliore di ciò che è».

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Solleva la mano per fermare l’applauso e prosegue: «Quando ieri sono arrivato, mi avete accolto con entusiasmo che non merito.

Mi avete illustrato le molteplici attività che svolgete, di quanto la vostra praticità rispetti e onori l’ambiente. Ed è stato esaltante osservare come progrediate senza modificare, come interagiate senza competere, come solidarizzate senza pretendere. L’armonia con cui vi organizzate, l’affetto attraverso cui comunicate con gli animali, la devozione che riservate alle piante sono la prova che quando l’interesse egoistico non corrisponde al profitto ma si conforma spontaneamente all’equilibrio naturale, è possibile restituire l’esistenza alla sua originaria vitalità, che è semplicemente condivisione dei piaceri offerti dalla natura. Quella schiettezza dei rapporti che ho ritrovato partecipando ai vostri giochi, distribuendo le eccedenze, osservando i bambini che si addestravano sulle creste delle montagne o imparavano a pescare con le mani è la solita degli insetti che gustano il nettare e poi impollinano il pistillo, delle fronde che cercano la luce, dei cuccioli di lupo che si azzuffano, dei volatili che si uniscono in un’unica unità cognitiva.

Essendo voi stessi l’ecosistema, intelletto e corpo operano guidati dal solo istinto e la volontà si perfeziona nella cosa in sé, il tutto in divenire a cui appartenete. Ciò rende il vostro pensiero unitario ma mai retrivo poiché vi identificate nella mutevolezza, pluralista giacché nell’alterità si perfeziona perseguendo il medesimo obbiettivo di vivere, armonico in quanto la non interferenza sulla natura delle cose ne consente la perpetuazione. Il vostro interagire con le molteplicità è reciproco, perché si realizza attraverso relazioni omogenee, dinamiche e cooperanti. Ẻ gratuito, giacché le connessioni non vengono mai contraffatte dall’utile. Ẻ temperante, poiché la volontà di vivere si esprime senza che gli eccessi generino prevaricazione. Siete natura, siete bellezza!

Se la terra è protagonista dei vostri sogni e ambiente delle vostre storie è perché quando l’individuo non è depravato da falsità, non domestica, non sfrutta, non sofistica, non distrugge, né sottostà al tiranno con la speranza di sedere al suo tavolo. Ẻ libero. E se è libero cerca e trova godimento nelle cose che lo attorniano, senza bisogni di inganni che ne deformino l’essenza.

Avete rifiutato la falsa civiltà perché siete quella vera. Una civiltà nuova che prospera simbioticamente con l’ecosistema. L’autonomia conquistata vi rende spiriti del creato che realizzano l’interesse personale compiendo il bene universale. Conoscete il giusto. Ed è per questo e in virtù di questo che sapete amare.

Ma della vostra felicità i servitori del male sono invidiosi. Vi temono perché l’autenticità pregiudica le loro false certezze, il loro illusorio benessere. Faranno di tutto per ostacolarvi, perseguirvi e reprimervi. E una volta trovati vi elimineranno se non vi convertirete o sarete utili ai loro scopi. Diffidate sempre delle loro lusinghe. Sono come gli avventurieri che ingannarono gli indigeni per sterminarli e sfruttare i loro territori. Se necessario combatteteli con voluttà e senza rimpianti. Con l’empio progresso non c’è negoziazione! La natura vi proteggerà. Le altre comunità vi sosterranno. Mentre i gruppi che operano all’interno del sistema continueranno ad eroderlo lentamente affinché smetta di corrompere i deboli e le coscienze si sveglino.

Lasciate la paura ai gretti. Che crepino oppressi dalla società del dominio mentre voi vi sublimate nella condivisione di tanta meraviglia!»

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Dopraho si alza. Sospira profondamente, poi conclude sfumando il tono di voce: «Volevo infine regalarvi questo libro» dice. Lo estrae da una tasca del mantello e lo appoggia sul tronco. «Ẻ una raccolta di riflessioni sul rapporto uomo-natura scritte durante questo mio ultimo pellegrinaggio. Sintetizza il pensiero e l’esperienza condivisi con le comunità anarchiche incontrate lungo il cammino. Ve lo consegno perché temo che non ci vedremo per molto tempo…» Solleva la testa e abbozza un sorriso persuasivo: «Ẻ mia intenzione tornare alla terra» sentenzia con tono sfuggente.

La folla rumoreggia confusa.

«Non ho deciso così perché i mastini sono sulle mie tracce. Tutti dobbiamo morire, benché per mano loro sia un’opzione che non ho mai preso in considerazione. Il mio umore è allegro e gioioso. La mia salute va alla grande. Ẻ arrivato però il momento di provare nuove esperienze. E mi piace l’idea di decidere quando ricominciare. Non dobbiamo essere padroni di noi stessi?

Credetemi, non ho rimpianti e sono orgoglioso della mia vita. So di aver dato tutto e ricevuto oltre le attese. Ho solcato terre lontane e ovunque mi sono sentito a casa. Ho amato con passione viscerale e tenerezza premurosa. Ho fraternizzato con ogni tipo di persona e imparato da tutti. Non ho mai avuto padroni, né assaporato la denigrante servitù. Combattere gli uni e liberare dall’altra è stato il mio più grande successo. Ho avuto il privilegio di vivere senza morale, religione, legge perché il giusto non è imposto ma è nella natura. Grazie a lei ho imparato a essere l’altro ed essere tutto. Mi sono lasciato trasportare dalla sua corrente ed è stato possente. Ed è giunto il momento di restituirle ciò che ho preso affinché altri esseri ne godano. Il mio corpo è una giara piena il cui contenuto deborderebbe se aggiungessi un’altra goccia. Devo svuotarla e riempirla. L’armoniosa casualità saprà donarmi nuove sembianze. Magari trasformerà la mia volontà in un aquila e proverò l’esperienza di volare fra le ruvide vette dei monti. Magari sarò una mangrovia che guazza nel mare, oppure diverrò un lombrico che scava cunicoli, ingoia terra e fertilizza la terra. Comunque sarà meraviglioso divenire!»

Conforta i presenti con un altro sorriso.

«Adesso devo proprio andare!» dice. «Porterò con me il vostro coraggio e il vostro ardore. Che la natura vi protegga e vi ispiri sempre. Che la libertà e l’eguaglianza siano il vostro baluardo contro la malvagità dell’incivile progresso». Poi si rivolge alla donna che gli sta vicino: «Posso avere un cicchino che si è alzato il vento?». «Vuole del tè caldo, signor Dopraho?». «Tè caldo?» ci pensa. «Forse è più salutare un goccetto di rum!» se la ride.

Scolato il bicchiere, congiunge le mani e abbozza un inchino. Biascica il sigaro compulsivamente prima degli ultimi abbracci. Tira su il cappuccio del mantello e con agilità si volta verso il sentiero che porta al bosco, nella cui vegetazione poi si dissolve.

 

Si dice che dopo quell’incontro sia stato avvistato presso alcune comunità sulle Alpi. Altri giurano d’averlo visto vagare per mare su una zattera. Altri ancora sono certi che giocasse con i leoni. A me piace pensare che si sia ricongiunto a quella terra che amava tanto e ora volteggi nei cieli come un’aquila o guazzi nel mare come una mangrovia o scavi come un lombrico. Dovunque sia, qualunque cosa sia, starà sicuramente condividendo la felicità con le molteplicità che gli stanno intorno.

Immagine: I cavalli di Nettuno, Walter Crane