LA COMUNITA’ MEDIATRICE
LA COMUNITA’ MEDIATRICE
Per l’opinione pubblica anarchico è colui che non rispetta le regole e avvinto da una sregolatezza innata o acquisita agisce fregandosene degli interessi della collettività. Un sociopatico, insomma. Di conseguenza la società anarchica è il far west dove ognuno spadroneggia un po’ come gli pare replicando il modello preconizzato da Hobbes a giustificazione del Leviatano.
Socrate diceva che esiste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza. A volte mi fa quasi tenerezza pensare quanto le persone siano masochiste!
L’anarchico, infatti, è consapevole molto più del manipolato e stordito conformista che un consesso sociale ha bisogno di disciplinarsi per armonizzare i diversi interessi. Rileva però due cose.
La prima è che finché esiste il profitto, finché le persone agiscono per un interesse economico, le relazioni sono rapporti di dominio-soggezione dove la sopraffazione e la violenza impediscono l’esercizio della libertà e dell’eguaglianza, rendendole mere leve propagandistiche con cui infinocchiare i sempliciotti. Il denaro infatti crea divisione fra chi ne possiede di più e chi meno, fra l’autorità e chi la subisce, sviluppando rapporti di forza che impediscono all’individuo di agire spontaneamente.
L’interesse è un virus annichilente. Spesso mortifero. Ma se gli effetti sono letali, la cura è elementare e consiste nel rinunciare ai bisogni artefatti per soddisfare unicamente quelli necessari. E poiché il mercato crea solo cose inutili, a questi pensa la natura. Semplice!
La seconda è che l’individuo non deve obbedire a regole stabilite da altri, ma autogovernarsi. Nessuna autorità può arrogarsi il potere di decidere al suo posto e punirlo se non rispetta le sue prescrizioni. Sia perché ciascuno ha le capacità per determinarsi autonomamente senza dover delegare ad cazzum persone che fanno l’interesse proprio e dei privilegiati che proteggono. Sia perché, qualunque disposizione eteronoma è un illegittimo strumento coercitivo creato dal più forte. In natura l’individuo è libero e nessuna entità artefatta può disporne di diritto.
Utopia? Non so se autodeterminarsi senza condizionamenti imposti lo sia più dell’ideale di uno Stato del popolo e per il popolo. Di sicuro la storia insegna che quest’ultimo è un mezzo di coartazione che reprime qualunque alternativa. Fosse democratico come dice di essere, consentirebbe alle comunità anarchiche di uscire dalla clandestinità e svilupparsi spontaneamente. No?
Disconosciuta l’oppressione eteronoma e le sue norme repressive, chiunque può scegliere il governo che preferisce oppure, come fa il bio-anarchico, agire spontaneamente nell’ordine naturale definito da norme ancestrali. Preso, infatti, coscienza di non poter continuare a vivere sotto un imperio che disprezza, negati i principi e i valori che lo giustificano e perpetuano, egli rifugge la società e trova nella natura non colonizzata il suo ambiente ideale. Qui conosce se stesso, si relaziona affettivamente con le specie che la abitano, si organizza autogovernandosi da solo o in compagnia in simbiosi con gli esseri con lo hanno accolto e produce quanto basta per soddisfare i bisogni primari attraverso uno scambio delle eccedenze non fondato sulla transazione, ti do un prodotto e tu me ne dai un altro, bensì sulla reciprocità del dono, quel dare e ricevere informale, non calcolato tipico delle relazioni familiari o amicali1. E poi cerca la felicità. Quella vera intendo. Non quella spacciata dalla propaganda per creare tossici in crisi di astinenza, ma il vivere coscientemente la simbiosi col mondo.
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La società è un fenomeno naturale e gli anarchici non contestano il bisogno di unirsi per realizzare l’interesse comune. Rifiutano invece che si strutturi su rapporti di forza definiti dalla maggiore o minore capacità economica dando vita a forme più o meno mascherate di plutocrazia.
Chiamano società del dominio questo sistema in cui il più forte prevale sul più debole e il rango è determinato dal denaro. In passato pensavano di eliminarla con azioni sovvertitrici. Parlavano di giustizia, equità, diritti. Nel tempo hanno capito che cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia. Vedi il socialismo, che ripropone il dominio con una maschera non meno mostruosa del capitalismo. Oggi, almeno i più illuminati, sono consapevoli che la prevaricazione è regola di convivenza finché l’uomo non si evolve in qualcosa di diverso. Un essere altro che sfrutta le proprie potenzialità primigenie non per narcotizzarsi nell’accumulazione, con conseguente violenza perpetrata per procurarsi lo stupefacente, ma per realizzarsi nell’armonia naturale.
Non credendo nella rivoluzione propongono una trasformazione spirituale, intima, prima ancora che sociale, in cui l’antropocentrismo materialistico viene sostituito da una visione fisiocentrica del mondo2. Hanno compreso, e alcuni vissuto, che solo l’interazione paritaria con l’ecosistema è gioia vera, non effimera. E che il benessere non può essere conquistato, ma vissuto nella profonda relazione con i suoi elementi. Una connessione accogliente, mai prevaricatrice, di cui l’armonia naturale è amalgama indispensabile.
Esiste un numero infinito di persone che sente il richiamo del soffio primordiale. Sono nascoste perché temono la repressione riservata ai dissidenti, ma quando casualmente si trovano, apprendono il piacere dell’eguale libertà e condividere l’identità è un atto spontaneo come un gioco.
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Ecco il motivo per cui chi ha scelto di vivere la biosimbiosi rifugge i luoghi asfissiati dal cemento, avvelenati dai miasmi del progresso, sfigurati dal mercantilismo, depravati dal profitto e soggiogati dal dominio.
La comunità diventa l’ambiente.
Ambiente che offre il necessario affinché ciascuno sia se stesso. Dove l’umano non è più dominatore, ma elemento della pulsazione naturale, che agisce nella consapevolezza che la sostanza che scorre nel suo corpo sia la medesima di una roccia, di un albero, o di un ratto.
Non edifica strade ma sentieri, né palazzi ma dimore. Non distrugge per sofisticare. Non accumula superfluità. Non combatte per depredare. Non domestica per dominare. Non fabbrica cose e ne desidera sempre di nuove. Non violenta, razzia, depreda, uccide per stupida avidità. Le sue azioni non inseguono il profitto, ma seguono i ritmi biologici celebrando il creato con la gentilezza di chi riceve un dono. Diventa finalmente uomo, cioè essere legato all’humus, la terra, in cui si perfeziona.
Così anche quando capita di dover risolvere questioni pratiche. Penso alla necessità di difendersi dai predatori, intendo il civilizzato non gli animali, così come la realizzazione di una dimora o un ponte, la definizione di attività comuni, l’ammissione di nuovi membri, la distribuzione delle eccedenze e quant’altro. L’assenza di interessi lucrativi, la partecipazione delle volontà, la distribuzione equa, la condivisa realizzazione nel tutto trasformano, infatti, i rapporti competitivi e rapaci della società del dominio in confronti paritari e sinceri. Dal dibattito si giunge alla decisione, sempre modificabile o revocabile. Generalmente è unanime, ma chi è in disaccordo può astenersi e non partecipare senza subire pregiudizi. La volontarietà che ispira ogni scelta non viene mai osteggiata purché non attui forme di dominio. E la divergenza non è mai motivo di conflitto perché l’interessato può sempre unirsi ad una comunità più affine.
Ma trovane una bella come la nostra!
Perché ciascuno è se stesso quando le persone non sono oppresse da regole imposte da altri, la comunione dei beni e la solidarietà esclude l’arroganza del più forte, la clandestinità e il nomadismo agevolano la creativa promiscuità, le decisioni sono personali e ciascuno partecipa come può, l’autarchia e il minimo necessario garantiscono la sopravvivenza e l’assenza di profitto assicura la convivenza pacifica ed egualitaria.
Per affrontare questo percorso liberatorio occorre coraggio. Non basta un animo attizzato dal fuoco della ribellione. Non è facile abbandonarsi all’oblio per trovare la luce e spesso la paura reprime l’istinto. Sono i lacciuoli personali quelli che asfissiano di più.
In questo caso l’estasi non è esclusa, ma non può che essere occasionale, data da rari momenti di fuga, scampoli di libertà nella quotidianità opprimente. Esplosioni di gioia intensa, a cui però segue l’estenuante disforia provocata dall’impossibilità di renderli permanenti. Per questo i libertari che ancora risiedono nella società del dominio lottano. Lotta che è identità ribelle nelle forme della diserzione, della disobbedienza, e dell’opposizione attiva per difendere l’uomo e il creato e infiacchire il Potere, sia mai che un giorno, stremato dai riottosi e depauperato delle sue risorse, si accontenti di governare i fedeli servitori lasciando i refrattari liberi di essere a modo loro. Una lotta che può essere esercitata personalmente, meglio in gruppo. Dopo tutto la natura stessa insegna che quando le prede si uniscono cacciano via il predatore. E se gli butta bene, si nutrono pure del suo cadavere.
NOTE
*1 Marvin Harris, La nostra specie, Rizzoli, 1991. Così dice quando parla delle popolazioni primitive.
*2 Da “phisis” che per i filosofi presocratici era la “realtà prima”: la natura. Quando si dice che non s’inventa più niente!
Immagine: Kallela, Tramonto sul lago 1915